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Il presidente Mattarella lo ha sottolineando nel discorso per il nuovo anno, senza lavoro, con salari dignitosi, senza i diritti scolpiti nella Costituzione non c’è futuro. Dall’attuazione della Carta fondamentale, dal patto tra cittadini e Istituzioni concretizzato nello stato sociale universale e pubblico occorre ripartire per rilanciare il Paese e per farlo c’è un’unica strada, quella della via maestra della partecipazione democratica. Cristhian Ferrari, segretario confederale della Cgil, commenta la manovra di bilancio appena approvata da un Parlamento costretto nel ruolo di notaio e delinea gli impegni futuri dell’organizzazione.
Si è arrivati a sfiorare l’esercizio provvisorio, eppure la maggioranza in Parlamento ha numeri solidi. Il 29 dicembre la Camera ha dato il via libera definitivo alla seconda manovra di bilancio targata Meloni. Qual è il tuo giudizio?
Innanzitutto un testo che esce da Camera e Senato esattamente come vi è entrato, non vi è stata alcuna discussione parlamentare. Non è questione di forma ma di grande sostanza democratica, è l'ennesimo esempio di quella marginalizzazione del Parlamento che ne contraddice la centralità che, invece, la Costituzione, e anche una sana democrazia, prevede. È una manovra totalmente insufficiente, inadeguata a mettere il Paese nelle condizioni di affrontare un passaggio economico e sociale molto molto difficile. Abbiamo un'economia che a partire dal secondo trimestre del 23 si sta contraendo, sta frenando. È una manovra scritta sulla sabbia di un obiettivo di Pil programmatico all'1,2%, totalmente irrealistico e sovrastimato, secondo Confindustria si arriverà solo allo 0,5%. Mentre la questione cruciale dovrebbe essere come rilanciare, anche al fine di mettere in sicurezza la finanza pubblica, gli investimenti e la crescita. E questa manovra, ovviamente non dà alcun tipo di risposta.
Per lavoratori e pensionati c’è qualcosa ad di là della strizzatina d’occhio data dal taglio del cuneo fiscale visto che è limitato al 2024 pur impegnando una fetta consistente del bilancio?
Questa manovra si può definire come un mix tra un ritorno all'austerità visto che programma un contenimento significativo della spesa pubblica per i prossimi anni tagliando sanità, servizi sociali, risorse gli enti locali con tutto quello che ciò che vuol dire, e delle misure apparentemente espansive ma del tutto estemporanee e una tantum a partire dalla decontribuzione, l’esecutivo non ha fatto che confermare strumenti già in essere ma limitandoli a un anno. A questo si aggiunge un intervento sul sull'Irpef con quell'accorpamento dei primi due scaglioni al 23%. Anche in questo caso, oltre al fatto che si tratta ovviamente di un intervento che rende il sistema meno progressivo e punta espressamente alla flat tax, noi non ne condividiamo né l’impostazione politica e né la direzione di marcia. Per di più, se la osserviamo dal punto di vista degli effetti nelle buste paga, al di là di quello regressivo, è pari a pochissimi euro, impercettibili.
Cosa serve allora?
Occorre portare avanti una riforma complessiva del fisco, che vada esattamente nella direzione opposta a questa. Per di più, anche la revisione delle aliquote, il che è francamente incredibile e senza precedenti visto che si tratta di uno dei principali architravi del sistema tributario, è fatta in deficit ed è temporanea. Insomma, è una manovra di galleggiamento, che non dà risposte è ipoteca la prossima visto che bisognerà individuare 15 miliardi per confermare decontribuzione e riduzione Irpef.
Esistono anche altri pezzi di questa manovra che raccontano di come non si guardi al futuro. Faccio un esempio l’azzeramento o quasi dei contributi agli istituti di ricerca, a favore di mance e prebende. Insomma sembra di poter affermare che manca un’idea di futuro...
Sì, non c'è dubbio. Ma perché stupirsi visto che la logica di questi sovranisti è semplicemente non disturbare chi vuole fare, e se accostiamo questa manovra alla revisione del Pnrr scopriamo una fortissima riduzione degli investimenti pubblici diretti a favore di incentivi automatici al sistema dell'impresa. C'è, da un lato la volontà di dare risposte alla propria base elettorale, e dall'altra un'idea di sbagliata di come il Paese deve affrontare questo passaggio, questo tornante storico molto, molto delicato. L'idea è quella di lasciar fare al mercato. Non c'è bisogno di istruzione, non c'è bisogno di ricerca pubblica, non c'è bisogno di intervento pubblico e quindi di politica industriale. Basta elargire ancora una volta un pacco di miliardi alle imprese sotto forma di incentivi, e poi ci penseranno loro a creare il lavoro, a creare sviluppo, a fare innovazione. Purtroppo questa è la ricetta che abbiamo già conosciuto negli ultimi anni e non ha prodotto risultati e men che meno li può produrre di fronte a delle sfide epocali come quelle della riconversione ecologica e della transizione digitale, che richiederebbero un fortissimo intervento pubblico per la ricerca e per l'istruzione, fino all'intervento diretto in economia, con l'obiettivo di creare lavoro.
Un altro grande assente mi pare proprio il lavoro, non trovi?
È così, non c'è una politica per la creazione di lavoro, a partire dalla pubblica amministrazione, si continua con la logica dei bonus e degli incentivi alle imprese e non c'è nulla contro la precarietà, il lavoro povero, il sommerso. Ma senza un lavoro stabile, sicuro, di qualità; senza salari più alti, senza irrobustire i servizi pubblici, le politiche dei bonus per le famiglie per le lavoratrici madri servono a ben poco e di certo non sono in grado di invertire l'inverno demografico che stiamo attraversando, altro fattore strutturale di crisi e di declino del nostro Paese. Nulla sul fronte occupazione femminile né su quello della condivisione del lavoro di cura, né sul fronte dell'immigrazione. Anzi, si fanno interventi che addirittura incentivano il modello di svalutazione competitiva del lavoro.
A cosa ti riferisci in particolare?
Non ci sono strumenti di conciliazione e condivisione, non ci sono interventi sui servizi pubblici territoriali, l'infanzia, gli asili, i consultori, i servizi sociali. E si butta via un po’ di spesa pubblica su bonus improbabili. E nulla per contrastare la povertà che secondo Eurostat e Istat è in aumento. Anzi, si tagliano i fondi per le persone disabili, non si mette una lira sul Fondo per non autosufficienza, nulla per affitto e morosità incolpevole, e le misure di sostegno contro il caro energia sono limitata solo primo trimestre del 2024 e vengono dimezzate rispetto ad oggi e in tutto questo si profila pure la fine del mercato tutelato, spingendo in piena crisi energetica milioni di famiglie fragili tra le braccia del cosiddetto mercato libero.
Gli ultimi mesi sono stati scanditi dalla mobilitazione di Cgil e Uil, la manovra è stata approvata, nulla di quanto richiesto dalle organizzazioni sindacali è stato preso in considerazione. Dal 2 gennaio che succede?
La mobilitazione che abbiamo portato avanti insieme alla Uil ha il pregio di avere evidenziato un punto politico di fondo: una politica economica, sociale, di sviluppo alternativa e diversa rispetto a quella che sta portando avanti il governo non è solo possibile, ma è necessaria. E non è vero che non ci siano le risorse per farla, si è deciso - e questa è stata la scelta politica di fondo anche di questa finanziaria - di non andare a prendere i soldi dove sono, extraprofitti, evasione fiscale, grandi patrimoni. Insieme alla Uil abbiamo tutta l'intenzione di portare avanti e di allargarla ulteriormente la mobilitazione. Innanzitutto per contrastare l'impoverimento brutale delle persone che rappresentiamo, esiste un'emergenza salariale grande come una casa a fronte di una inflazione da profitti che ha falcidiato fino al 17% i redditi dei lavoratori.
E anche sul fisco nessun passo avanti...
Non ci stiamo a una deriva verso la flat tax, pensiamo occorra ripristinare un principio di progressività. Non solo per giustizia fiscale ma anche e soprattutto perché il fisco è la leva principale per sostenere e rilanciare un welfare pubblico universale, l'altro punto fondamentale sul quale vogliamo concentrare la nostra iniziativa politica. Abbiamo bisogno non di meno tasse per tutti, ma di usare il fisco come leva redistributiva in grado di sostenere e finanziare i servizi pubblici.
E poi il lavoro...
Siamo in una fase di grande difficoltà economica, stiamo entrando in un ciclo negativo, la produzione industriale cala ormai dall'estate del 2022. Segnali preoccupanti che stanno mettendo in discussione anche i livelli occupazionali, la cassa integrazione sta aumentando in particolar modo a Nord. E allora l’altro tema per noi centrale è conquistare una strategia di politiche industriali, assolutamente necessarie non solo per creare lavoro, ma per affrontare le tante crisi aziendali aperte, e soprattutto per governare la transizione ambientale, digitale ed energetica. La delega in bianco al mercato non funziona, serve un intervento pubblico. Esattamente il contrario di quanto stabilito in questa finanziaria, in cui l'unica voce al capitolo politica industriali si chiama privatizzazioni delle aziende pubbliche rimaste. Per tutti questi motivi è chiaro che andremo avanti, con la Uil e allargando ulteriormente, per ottenere risposte rispetto alle politiche economiche, di sviluppo e sociali dal governo ma anche dalle controparti datoriali, a partire dalla questione salariale, non possono pensare di scaricarla esclusivamente sul fisco. Serve rinnovare i contratti nazionali non solo per difendere ma per aumentare il potere d'acquisto dei lavoratori. Non solo per tutelare gli interessi delle persone che rappresentiamo, ma nell’interesse del Paese. Senza che alzare i salari, senza rilanciare gli investimenti, difendere il welfare pubblico universale e senza una politica industriale in grado di affrontare le sfide che dicevo prima, l'Italia non ha alcuna prospettiva di crescita solida e strutturale.