PHOTO
Il Pnrr, piano nazionale di ripresa e resilienza e la grande quantità di risorse europee che stano per essere destinate alla realizzazione dei progetti di rilancio del Paese sono occasioni troppo importanti (storiche) per essere sprecate e indebolite da scelte incerte o peggio dai tanti errori delle politiche industriali del passato. Il concetto è doppiamente valido per un settore, quello delle telecomunicazioni e delle tecnologie dell’informazione, che viene giustamente messo al centro della strategia del governo per i prossimi anni. Ma per non sprecare l’occasione, la politica dovrà fare delle scelte nette e che non sono state esplicitate nel Pnrr. La prima è quella di indicare l’impresa nazionale intorno alla quale dovrà girare tutto il processo della digitalizzazione e della connessione per tutti. E questa impresa non potrà che essere Tim con una nuova impostazione, magari sul modello della Pubblic Company. E’ questo in estrema sintesi il messaggio principale che è emerso da un dibattito organizzato questa mattina dalla Cgil e al quale hanno partecipato esperti del settore e la sottosegretaria allo Sviluppo, Anna Ascani, che ha voluto sottolineare la centralità del tema nel testo del Pnrr che è stato inviato a Bruxelles.
Un settore strategico
Per la Cgil – come ha spiegato Barbara Apuzzo nell'introduzione – si tratta di temi strategici sia dal punto di vista delle politiche industriali, sia dal lato dell’occupazione e del diritto di tutti i cittadini ad una connessione sicura, stabile e accessibile. Lo ha spiegato molto bene il segretario nazionale della Slc, Riccardo Saccone, che impietosamente ha ripercorso tutte le tappe dei tanti fallimenti politici nel campo delle Tlc. Scelte sbagliate che hanno portato una grande azienda come Telecom (ai primi posti fino a qualche anno fa nel mondo) a diventare un’azienda grande ma in grave crisi come Tim. Un’analisi che è stata condivisa anche dalla controparte confindustriale, come ha ammesso Cesare Venia, di Confindustria Digitale, secondo il quale saranno decisive per il futuro dell’Italia le scelte che si faranno sulla rete, sul 5G e il Vhcn. Anche il professor Francesco Vatalaro, docente di Telecomunicazioni all’Università di Roma Tor Vergata, ha analizzato la situazione dal punto di vista della realtà della rete che ha subito gli effetti di scelte non lungimiranti dei governi e del Parlamento. La politica ha investito cioè su modelli di business che si sono rivelati fallimentari. D’altra parte non è neppure un caso che un grande esperto del settore e di Intelligenza Artificiale, come Stefano Quintarelli, lamenti la dispersione della discussione politica a livello parlamentare su questi temi che pure sono considerati da tutti strategici. Quintarelli propone quindi l’istituzione di una Commissione parlamentare specifica e specializzata in Tlc e innovazione tecnologica.
Analisi e proposte
La posizione e le proposte del sindacato sono state spiegate prima da Fabrizio Solari, segretario generale Slc e poi nelle conclusioni da Emilio Miceli, segretario confederale della Cgil. Solari ha spiegato molto semplicemente che dopo 30 anni di privatizzazioni e liberalizzazioni è arrivato il momento di fare un bilancio. E il bilancio non può che essere negativo perché l’Italia ha permesso che si indebolissero i suoi player strategici. E’ successo con l’Alitalia, con le ferrovie e con tante altre aziende e con l'abbandono del terreno strategico dell'informatica. Per le tecnologie della comunicazione e dell’informazione, vista la grande occasione storica del Pnrr e del Next Generation Ue, è vietato sbagliare di nuovo. Si deve ripartire dalla struttura industriale del Paese, dalle aziende che devono essere difese attraverso l’intervento pubblico come si è fatto in tante alte nazioni europee (vedi per esempio la Francia e la Germania). Noi facciamo invece il contrario e con le liberalizzazioni abbiamo contribuito a distruggere il nostro tessuto industriale, lasciando le grandi aziende nelle mani dei capitali stranieri. “Se non si partirà da questo punto – ha detto Solari – avremo un rinsecchimento definitivo di tutta la nostra industria visto che in ballo ci sono ormai davvero tutti i settori: acciaio, moda, alimentare, chimica di base”. Se non si decide una fortissima inversione di rotta, l’Italia diventerà solo un mercato di sbocco di merci e servizi prodotti da altri. E non è una cosa che ci possiamo permettere soprattutto nel campo delle Tlc visto che la connessione (e la pandemia lo ha reso evidente) è diventata ormai un “diritto di cittadinanza”. E visto che non possiamo offrire ai nostri ragazzi solo un destino da camerieri di stagione o pizzaioli.
Una grande impresa
Intorno agli stessi concetti, (diritto di cittadinanza e player pubblico per le Tlc) ha insistito nelle conclusioni il segretario nazionale della Cgil, Emilio Miceli che ha parlato della connessione e della digitalizzazione come beni comuni. L’obiettivo vero del Pnrr, ha spiegato Miceli, dovrebbe essere quello di colmare i tanti gap di cui soffre il paese visto che con la pandemia sono aumentate le distanze e le diseguaglianze sociali. “Nessuno di noi ha nostalgie stataliste – dice il segretario nazionale – ma è evidente che il mercato da solo non riesce a risolvere i problemi e non riesce a garantire un diritto che è di tutti. Il mercato investe laddove c’è già ricchezza aumentando quindi le distanze tra le aree del Paese”. Dobbiamo quindi smetterla di essere più realisti del re e più liberisti dei liberisti. Lo Stato deve avere un ruolo preciso di indirizzo e governance per rilanciare una grande azienda italiana di telecomunicazioni. In fondo i soldi del Recovery Fund sono finanziati da tutti i cittadini europei e il diritto ad una connessione stabile e sicura o sarà per tutti o non sarà.