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Mentre una delle Missioni più corpose del Pnrr riguarda la digitalizzazione del Paese, ancora non è chiaro chi, quando e costruirà l’infrastruttura di rete indispensabile ad una connessione veloce ed efficiente. E l’incertezza aumenta visto che 11 componenti del Cda di Tim si sono schierati contro l’Amministratore legato Gubitosi. Ma il destino dell’azienda di Tlc riguarda il futuro del Paese ma anche il futuro dei 40mila dipendenti.
"Se salta il piano industriale di Tim sono anche a rischio 40mila posti di lavoro". Ad avvertirlo, parlando con l'Adnkronos, è il segretario generale del Sindacato della Comunicazione Slc Cgil, Fabrizio Solari: "La scelta obbligata per il futuro di Tim - afferma il dirigente sindacale- era all'interno di una scelta di politica industriale che il passato governo aveva in qualche modo avallato - con lettere di intenti fra Cdp, Tim e Open Fiber nell'agosto del 2020 - e quindi, di lì in avanti, l'azienda si era predisposta ad una soluzione che era stata individuata e che corrispondeva a due parametri principali: quello di rispondere ad un programma del Paese, cioè dotarci di una rete di nuova generazione in grado di soddisfare tutte le esigenze del Paese, e l'altro aspetto era di trovare una sistemazione anche dal punto di vista industriale ai 40mila dipendenti di Tim.
Che succede ora?. Solari argomenta che "Se viene meno questa ipotesi, come sembrerebbe da ciò che si legge sui giornali, è evidente che anche il Piano industriale di Tim non può essere più quello ed è probabilmente anche per questo motivo - continua Solari- che l'amministratore delegato oggi è messo in discussione: perché l'ad è l'espressione di quel piano. Dal nostro versante un'idea di 'rete arlecchino', cioè fatta per pezzetti, non solo non è una risposta adeguata al recupero del ritardo italiano e del conseguente digital divide che ci caratterizza, ma mette a rischio la stessa tenuta dell'azienda principale del settore. E, inoltre, si aprirebbe un problema grosso dal punto di vista dell'occupazione, del sistema economico e anche delle prospettive del Paese".
Il segretario generale della Slc Cgil alza lo sguardo e approfondisce il suo ragionamento guardando anche a cosa accade nel resto d’Europa: “È anomalo che nessuno dei primi 4 operatori in Italia sia riconducibile al nostro Paese. Per come sono state gestite le privatizzazioni in Europa, Deutsche Telekom, che è il corrispettivo in Germania della Tim, vale sul mercato circa 60 miliardi di euro e Tim vale circa 6 miliardi. Erano aziende che 30 anni fa erano assolutamente comparabili mentre adesso è questo il divario che le separa". E aggiunge ancora Solari: "Sia in Germania che in Francia, dove il monopolio della rete è in mano a Orange, è stata mantenuta la presenza significativa dello Stato mentre in Italia no. In Italia si è permesso a Bolloré, con capitale francese, di arrivare alla soglia dell'Opa e oggi è l'azionista più importante di Tim con circa il 24% del capitale". "Questo per dire - prosegue Solari- che c'era e c'è un problema di governance dell'azienda perché un Paese moderno, con il ruolo che hanno le tlc, non può non avere una sua capacità di incidere in questo settore". "Rilevo infine, conclude il segretario Slc, che dei primi 4 operatori in Italia - Tim, Wind, Vodafone e Iliad - nessuno è riconducibile al nostro Paese e questa è una situazione anomala".