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La capacità del Paese di cogliere la sfida dell’innovazione digitale, ma anche quella della ripresa economica e quindi sociale si gioca nei prossimi mesi. La vera partita è quella della capacità di connessione veloce che sapremo darci. Negli altri stati europeo esistono “campioni nazionali” ex monoposti che pur nell’epoca della concorrenza e del mercato mantengono un nocciolo duro per poter assicurare le infrastrutture immateriali di cui ciascun paese ha bisogno. Da noi - purtroppo - non è così. L’ex monopolista, Tim è stato oggetto di una privatizzazione un po’ “bizzarra” e il nostro Paese, sull’altare della concorrenza e del libero mercato, ha immolato anche la capacità di indirizzo e di scelta politica. E l’incontro con il nuovo amministratore delegato della società Pietro Labriola, e le categorie di Cgil Cisl e Uil che rappresentano i lavoratori del settore, Slc, Fistel, Uilcom, ha lasciato le organizzazioni sindacali assai preoccupate.
“Il primo incontro con il nuovo ad di Tim non ha sciolto alcuno dei forti dubbi”. Così una nota delle segreterie sindacali al termine dell’incontro che le ha lasciate assai perplesse soprattutto per il destino dei lavoratori e delle lavoratrici. “Ad oggi, non è stata decisa alcuna strada precisa, a partire da quella dello scorporo”. Prosegue la nota, che continua: “Non riteniamo sia esagerato paventare un finale molto simile a quello che ha coinvolto Alitalia. Un gruppo industriale che oggi occupa circa 43.000 lavoratrici e lavoratori, in una operazione di spezzatino, inevitabilmente andrebbe a causare migliaia di esuberi che il Paese non può permettersi, e che noi con forza intendiamo scongiurare. La nostra posizione non è contraria a logiche di mercato che favoriscano una concorrenza leale sulla qualità dei servizi erogati alla cittadinanza, ma qualunque scelta va fatta scongiurando drammi occupazionali, e la definitiva uscita dello Stato da un settore strategico sia sul piano nazionale che su quello continentale, tutto questo nell’interesse primario dello sviluppo tecnologico e sociale del nostro Paese”.
Molta preoccupazione denuncia anche la confederazione. Dice, infatti, Barbara Apuzzo, Responsabile Politiche e sistemi integrati di telecomunicazione Cgil nazionale: “Siamo alla vigilia di un nuovo disastro sul modello Alitalia/ita… solo che avviene in un momento storico in cui la capacità di “connettere” il Paese, potendo contare su un “campione nazionale” in grado di orientare e governare certi processi rappresenta la conditio sine qua non per veder sviluppare (o meno) l’economia e la società. Stiamo andando in una direzione opposta. Rischiamo di sprecare un’occasione unica, quella del Pnrr, e rischiamo di sprecare le risorse pubbliche che arrivano dall’Europa. Ma corriamo anche un altro rischio lo scempio di cui rischiano fortemente di esser vittima i lavoratori e le lavoratrici, e il Paese. I primi perché si ritroveranno senza un’occupazione, il secondo che sarà impoverito dalla dispersione di altissime professionalità. Un bel capolavoro!”.
Sì, un vero e proprio scempio sociale e il rischio di una occasione sprecata. Ricordano le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil: “Il “Memorandum” di agosto 2020 firmato fra Tim e CDP per la confluenza di Tim ed Open Fiber rappresentava finalmente l’inizio della strada per il superamento di un assurdo dualismo infrastrutturale, un vero spreco di energie, a favore della costruzione di un modello aperto al coinvestimento e regolato dal sistema delle Authority”. Bene si dirà, e invece no perché da allora – e senza dirlo esplicitamente – si è percorsa una strada diversa che è quella che fa correre seri rischi a tutti noi.
“Oggi il “memorandum” è di fatto superato dal modello sponsorizzato dal Ministro Colao. - affermano i sindacati - Un modello fatto di “micro bandi” attraverso i quali si regalano soldi pubblici ad operatori privati per la costruzione di porzione di reti di cui i privati rimarranno proprietari. Un processo che non collima con le tante dichiarazioni politiche che indicano nella rete unica a controllo pubblico la strada da compiere, quindi dobbiamo aspettarci che in un secondo momento lo Stato riacquisterà quegli asset che ha già sostanzialmente pagato? Sarebbe, se ciò avvenisse, la storia che si ripete: il destino di Tim dopo la privatizzazione deve coincidere necessariamente con gli sprechi, le opacità, lo sperpero di denaro pubblico? Lascia davvero attoniti il silenzio delle istituzioni di fronte a tutto questo. La si smetta con la storiella della neutralità dinanzi al mercato”.
Sono questi gli interrogativi ai quali l’incontro di oggi non è servito a trovar risposte. Il piano aziendale non è stato presentato, quale sarà il destino di Tim e dei suoi dipendenti rimane incerto e rimandato al prossimo 2 marzo quando verrà presentato il piano di impresa. Questo tempo va usato bene, deve servire a tutti i livelli a compiere le scelte giuste per l’interesse del Paese. Concludono, infatti, Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil: “Siamo ancora in tempo per evitare decisioni sbagliate. Ma questo presuppone un forte coinvolgimento e la massima chiarezza di tutti nella convinzione che la partita legata al futuro di Tim e del settore delle TLC, non possa essere la sommatoria di mere e molteplici operazioni finanziarie. Nel tempo che ci separa dalla presentazione del piano industriale occorrerà lavorare incessantemente, in azienda come nel settore e nei confronti della politica, per creare una consapevolezza sulla giustezza delle nostre argomentazioni”.
Il sindacato farà la sua parte, innanzitutto riunendo, il prossimo 3 febbraio, l’attivo unitario di tutte le Rsu Confederali di Tim per “rafforzare in azienda la nostra posizione, analizzare la situazione e valutare le nostre future azioni”.