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Nel 2023 le regioni meridionali subiranno un ulteriore arretramento. Per il Centro Nord si prevede una crescita dello 0,8%, bassa ma pur sempre crescita. Al Sud si arretra: -0,4%. E tutti gli sforzi per ridurre i divari, così come per altro prevede l’ingente stanziamento dei fondi di Next Generation Eu a questo dedicato, vengono vanificati. Il terribile risultato di tutto ciò sarà, secondo le previsioni, 500.000 nuovi poveri nel solo Mezzogiorno. Questa la sintesi del Rapporto sull’Economia meridionale che come ogni anno la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’economia e dell’industria nel Mezzogiorno, ha presentato quest’oggi in Parlamento.
“Rischiamo la catastrofe - afferma il segretario nazionale della Cgil, Giuseppe Massafra, a margine della presentazione del Rapporto –. La situazione del divario Nord-Sud, come sappiamo già preoccupante, non è destinata a migliorare. Anzi, quei margini di ripresa post-pandemia previsti non solo non ci sono stati, ma la situazione rischia di peggiorare. È necessario intervenire”.
Cosa dice il Rapporto
La fotografia di cosa sta accadendo è davvero impietosa. Dopo lo shock pandemico è arrivato quello energetico, cominciato da tempo e aggravato dalla guerra in Ucraina. Dice la Svimez: “Dopo lo shock della pandemia, l’Italia ha conosciuto una ripartenza pressoché uniforme tra macro-aree. Il rimbalzo del Pil nel 2021, +6,6% a livello Paese, è stato sostenuto dalla ripresa degli investimenti, soprattutto quelli in costruzioni, e dalla domanda estera, interessando tutte le aree del Paese, ma è stato più rapido nel Nord (+7,5% nel Nord-Est; +7% nel Nord-Ovest), dove più pronunciata era stata la recessione del 2020. Il Mezzogiorno ha però partecipato alla ripartenza nel 2021: il Pil meridionale è cresciuto infatti del 5,9%, superando la media dell’Ue-27 (+5,4%), beneficiando dell’inedita intonazione espansiva delle politiche a sostegno dei redditi delle famiglie e della liquidità delle imprese che hanno contribuito a sostenere i consumi e a preservare condizioni favorevoli di continuità operativa per le attività economiche”.
Una ripartenza necessaria e benvenuta – sostenuta anche dagli interventi per le famiglie, introdotti dai governi Conte 2 e Draghi - che però, come ovvio, ha solo avviato la riduzione delle distanze tra le due aree del Paese. Il percorso di riavvicinamento, infatti, non potrà che essere lungo, sempre che resti costante. Ma così non è.
Secondo l’Associazione “il nuovo shock ha cambiato il segno delle dinamiche globali, interrompendo il percorso di ripresa nazionale coeso tra Nord e Sud. Gli effetti territorialmente asimmetrici dello shock energetico intervenuto in corso d’anno, penalizzando soprattutto le famiglie e le imprese meridionali, dovrebbero riaprire la forbice di crescita del Pil tra Nord e Sud. Secondo le stime Svimez, il Pil dovrebbe crescere del 3,8% su scala nazionale nel 2022, con il Mezzogiorno (+2,9%) distanziato di oltre un punto percentuale dal Centro-Nord (+4,0%)". “È evidente – aggiunge Massafra – che occorre individuare strategie che possano collocare il Mezzogiorno su una proiezione di ripresa e devono necessariamente essere strutturali, soprattutto per rispondere allo shock energetico”.
Meridione ancora più povero
Se nel corso degli anni precedenti, il blocco dei licenziamenti, il Reddito di cittadinanza e quello di emergenza, hanno tamponato i momenti più critici a livello sociale, impedendo che esplodessero, oggi si rischia un vero disastro. I conti sono presto fatti: “Senza le erogazioni le famiglie in povertà assoluta sarebbero state il 9,4% anziché il 7,7%, l’incidenza per le persone sarebbe aumentata all’11,1% anziché fermarsi al 9,4%”. E ovviamente al Sud sarebbe andata ancora peggio, sarebbero entrate in povertà 13 famiglie su 100. I numeri parlano chiaro, la volontà di Giorgia Meloni e del suo governo di eliminare il Reddito di cittadinanza suona davvero sinistra e foriera di ulteriori diseguaglianze.
Non solo. “Una delle cause della maggiore povertà del Sud - continua il segretario confederale della Cgil -, oltre che la mancanza di lavoro e un ritardo nello sviluppo, è l'annoso problema del differenziale salariale, problema che non si è mai voluto o saputo affrontare. Cioè, salari più bassi per effetto di un più alto tasso di lavoro povero, di precarietà e di altri elementi che ben conosciamo. E allora l’aumento dell’inflazione in questi territori incide ancora di più”. Di fronte a questo quadro sorge spontanea la domanda su come inciderà l'eventuale applicazione dell'autonomia differenziata.
Male, secondo il direttore della Svimez, Luca Bianchi, che nella sua relazione sostiene: “Il Paese è stato colpito da shock globali, ai quali è velleitario pensare di rispondere con politiche pubbliche frammentate a livello territoriale. La pandemia ha fatto vacillare il mito dell’efficienza dei sistemi sanitari delle regioni del Nord, facendo emergere l’esigenza, soprattutto nella campagna vaccinale, di strategie nazionali. Una richiesta così estesa di competenze da parte delle regioni del Nord, dall’energia ai trasporti, dalla politica industriale alla ricerca, appare oggi incompatibile con il grande piano di ammodernamento del Paese previsto dal Pnrr”.
Che fare?
Sia dal Rapporto che dalla relazione di Bianchi emerge con chiarezza che una delle strade da perseguire è quella di spendere bene le risorse europee a partire da quelle del Pnrr. Al momento così sembra non essere sia per i ritardi nell’attuazione del piano, sia perché la clausola di riservare il 40% di tutti gli stanziamenti al Sud non è affatto rispettata e, ricordano dalla Svimez, anche se fosse davvero rispettata non sarebbe sufficiente ad annullare i divari. Fiiguriamoci se non si arriva nemmeno quella cifra. Poi, altro capitolo fondamentale, è quello di ragionare sulla ricostruzione delle filiere industriali a partire dalle rinnovabili. Insomma un Sud senza industria non riparte, invece le potenzialità ci sono, servono investimenti. Il ministro Fitto, nel corso della presentazione del rapporto, ha pronunciato una frase emblematica: “È stato complicato in manovra di bilancio trovare cento milioni di euro, ma noi siamo seduti su miliardi”. “Il punto è – sostiene ancora Massafra – chi governa i soldi e per farci cosa”.
Le preoccupazioni della Cgil
Il governo vorrebbe riprogrammare i fondi europei di coesione 2016-2020 per finanziare gli interventi di contrasto al caro energia, visto che in legge di bilancio ci sono risorse solo fino a marzo. Per i fondi 2021-2027, ancora si pensa a una revisione e poi si sta facendo una ricognizione sul Pnrr. Ma quali sono gli indirizzi strategici? “Il rischio è – commenta il dirigente sindacale – che i fondi strutturali, Pnrr compreso, non vengano utilizzati all’interno di una strategia programmatoria che si fonda sul pilastro delle politiche di coesione territoriale e dei divari territori, ma che siano risorse utilizzate come bancomat per le manovre di bilancio nazionale”.
Allora la conclusione di Massafra è chiara: “O proprio in tema di governance si stabilisce, in linea con le battaglie che stiamo facendo, che esiste un ruolo del partenariato economico e sociale che va esercitato e rafforzato per determinare politiche di programmazione; oppure dentro l’idea del governo di ricentralizzare tutta la catena di governo del Piano, il rischio del bancomat è fortissimo. La nostra prima rivendicazione è proprio quella di ristabilire i termini di un confronto sia al livello centrale che nelle articolazioni territoriali”.