Condivido il contenuto del documento scritto da Archibugi, Pennacchi, Reviglio perché credo tocchi il cuore di quello che dovrà essere un confronto serrato sul futuro, non solo del nostro Paese, tra istituzioni, rappresentanze politiche e sociali, sindacati, terzo settore. Da troppo tempo il dibattito pubblico si è spesso legato al bisogno impellente delle forze politiche di presentarsi con ricette legate alla necessità di produrre cambiamento. Soluzioni che hanno finito poi per impattare con l’idea che lo Stato, le politiche pubbliche dovessero via via indietreggiare rispetto alla capacità e all’efficienza del sistema privato.

Abbiamo attraversato anni nei quali anche le forze del campo progressista si sono lasciate influenzare da un modello di sviluppo su cui ha trovato appoggio il fenomeno della globalizzazione, letto nella sua positività in relazione all’opportunità di crescita economica registrata soprattutto in alcuni paesi che erano rimasti ai margini dello sviluppo economico mondiale. Ma già prima di entrare in questa devastante pandemia il nostro Paese stava ancora vivendo la coda della crisi finanziaria e sociale, verificatasi intorno alla fine del primo decennio di questo secolo e registrava una percentuale di crescita del Pil tra le più basse in Europa.

Le disuguaglianze di cui spesso parliamo, già ereditate dalla fase pre-Covid, hanno semmai fatto vedere nell’emergenza sanitaria il vero volto di una società nella quale la concentrazione delle ricchezze nelle mani dei pochi ha fatto crescere sentimenti di rabbia e di risentimento che ora sembrano sopiti perché compensati dai provvedimenti assunti dal governo e dalle importanti e necessarie misure a sostegno del reddito, delle imprese, delle famiglie.

Ma le distanze permangono, il malessere è diffuso, il disagio sociale si è amplificato e i bisogni emergenti impattano con il sistema dei diritti fondamentali non goduti. Siamo un Paese che registra una dispersione scolastica con percentuali per nulla paragonabili con altri a sviluppo avanzato. Il sistema sanitario per anni è stato visto come un costo a carico dello Stato e che come tale andava tagliato in modo lineare, salvo scoprire che in futuro dovrà essere uno dei pilastri su cui costruire una nuova stagione di investimenti pubblici per la ricerca, la medicina di territorio, i presidi di prossimità socio assistenziale.

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Va ripensato e superato, invece, il paradigma intorno al quale abbiamo fatto poggiare il principio stesso della crescita, tornando a ridare centralità alla persona nel rapporto con l’economia, la vita reale e soprattutto con la qualità della stessa. Tutto ciò rischia di non accadere, scivolando ancora una volta nella retorica del cambiamento, se non si apre una nuova epoca capace di saldare una visione di futuro nel rapporto con i nuovi bisogni sociali che questa crisi ha amplificato.

Ciò vuol dire avere una classe dirigente nel Paese, e non solo quella politica, all’altezza del compito, poiché tutti siamo chiamati a prendere parte alla ricostruzione. C’è una notizia importante che arriva dall’Europa, il via libera al Recovery Fund con una boccata d’ossigeno per l’Italia non indifferente. Parte da qui allora la vera sfida, dalla capacità di saper orientare tutte le risorse disponibili e di utilizzarle verso una nuova cornice nella quale modernizzare e ricostruire un’idea di progresso, sostenibilità, uguaglianza e solidarietà.

La politica non può più permettersi tatticismi, si faccia la scelta chiara di ridare allo stato un ruolo guida, una visione di futuro in grado di raccogliere le migliori intelligenze da mettere al servizio di uno sviluppo sostenibile del paese. Le politiche pubbliche tornino ad essere generose, non autoreferenziali, accolgano anche saperi informali maturati in anni di esperienza sul campo da parte di tutto quel vasto mondo rappresentato dal terzo settore italiano. Un capitale umano a disposizione di processi di co-programmazione e co-progettazione come la nuova legge di riforma prevede. 

Sarà necessario pertanto riscrivere un nuovo patto sociale, che ridisegni la funzione pubblica nelle politiche di sviluppo, rimetta al centro il lavoro, il rapporto con l’impresa. Una ricostruzione che deve contenere in sé uno sguardo profondo, una capacità di programmazione sui temi del welfare, della progressività fiscale, dell’istruzione, della ricerca, dell’innovazione, della sussidiarietà. La strada è segnata  dall’Agenda Onu 2030, sta alla volontà di tutti noi volerla percorrere. 

Vincenzo Manco è presidente Uisp.