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Il primo consiglio dei ministri dopo le ferie, si è tenuto lo scorso 28 agosto, ha dato il via libera all’ingresso dello Stato, attraverso una acquisizione di quote azionarie in Tim. O meglio nella Newco che nascerà entro fine settembre con lo scopo di acquisire solo la rete dell’azienda madre. Approvando così, implicitamente, sia lo spacchettamento dell’azienda sia la fine della rete unica.
La notizia della decisione del governo di acquisire una partecipazione di minoranza alla costituenda società della rete Tim, lasciando al fondo americano Kkr almeno il 65% del pacchetto azionario, ci lascia sgomenti. Quello che si sta consumando in queste ore è l’ultimo atto, l’ennesimo, con il quale si sceglie di regalare al mercato un asset strategico del Paese”. Lo afferma il segretario confederale della Cgil nazionale, Pino Gesmundo. Questa scelta avrà effetti sciagurati sia su lavoratori e lavoratrici sia sui cittadini e le cittadine italiani che diversamente da quelli di altri paesi non avranno un campione nazionale della Tlc. Aggiunge, infatti Gesmundo: “Dopo mesi di roboanti annunci sulla difesa degli interessi nazionali (e le infrastrutture digitali lo sono eccome), il Governo avalla la scelta della separazione tra infrastrutture e servizi di Tim, esattamente l’opposto di quanto sarebbe necessario per salvaguardare e consolidare uno degli ultimi campioni nazionali e per garantire gli interessi dell’Italia, che oggi rischia di essere definitivamente tagliata fuori anche dagli scenari competitivi che si stanno delineando dentro e fuori l’Europa”.
Ai dipendenti dell’Azienda e non solo pensa Fabrizio Solari, segretario generale della Slc Cgil: “Negli ultimi mesi il governo è passato con noncuranza dai propositi di una ‘rete unica’ all’obiettivo della ‘rete nazionale’, per finire con la decisione odierna di acquisire una partecipazione di minoranza alla costituenda società della rete Tim, ma lasciando al fondo americano Kkr almeno il 65% del pacchetto azionario. Resta l’amarezza e la preoccupazione – aggiunge il dirigente Slc - per una vicenda giocata esclusivamente nella logica della finanza, con molta attenzione agli interessi degli azionisti e dei tanti blasonati creditori, ma che ha accuratamente evitato un confronto trasparente sugli aspetti industriali, occupazionali e sugli interessi generali del Paese”.
Certo è ben triste il destino di questa Azienda che, nonostante alla fine degli anni ’90 era la quinta potenza mondiale del settore, oggi è arrivata all’epilogo di una disastrosa gestione dell’azienda che, dalla privatizzazione in avanti, ha visto una girandola di imprenditori esercitare i propri talenti nello spogliarla di nohow, talenti, professionalità, lavoratori e lavoratrici. Riflette ancora Solari: “Il percorso sarà ancora lungo e accidentato, ma quel che è certo è che oggi il governo esprime di fatto il proprio gradimento alla separazione tra infrastruttura e servizi, una scelta che ci allontana inevitabilmente dal resto dell’Europa, a partire da Francia e Germania che continuano a difendere i loro ex monopoli oggi trasformati in campioni nazionali”.
Finanza e interessi degli azionisti preminenti su quelli del Paese e dei lavoratori. Pensando a questo Gesmundo aggiunge: “Una scelta miope che segue logiche finanziarie che niente hanno a che vedere con lo sviluppo infrastrutturale del Paese, spina dorsale su cui va retto l’intero processo di transizione digitale cui siamo chiamati a far fronte e che è fortemente legato allo sviluppo industriale del Paese. Inoltre, il rischio concreto che intravediamo - sottolinea il segretario della Cgil - è quello di sprecare risorse preziose (2,2 miliardi solo per iniziare) senza avere la possibilità di incidere per orientare scelte strategiche. Questo impatterà non poco sulla tenuta occupazionale, ma siamo fortemente preoccupati anche per il respiro corto di un’operazione che rischia di ridursi a uno spreco di risorse slegate da qualsiasi progetto di sviluppo di una rete che sia performante in ogni angolo del Paese”.
La conclusione del segretario confederale è amara e preoccupata: “Noi abbiamo sempre guardato a un altro modello di sviluppo, quello che in altri paesi europei ha puntato sul consolidamento dei loro campioni nazionali, con una partecipazione dello Stato forte al punto di orientarne scelte e investimenti. Oggi ci sembra di poter affermare che l’Italia ha scelto di percorrere la direzione opposta”.
Il rischio, allora, per il nostro Paese, in un mercato delle Tlc sempre più senza confini è che l’Italia non avrà voce in capitolo nel probabile, quanto auspicabile consolidamento dell’industria delle telecomunicazioni a livello continentale. Per tale regione, il segretario della Slc è netto: “Il sindacato, nel ribadire le proprie ragioni, non potrà fare altro che stare dentro i processi in atto per contrattare le condizioni di lavoro, difendere l’occupazione e battersi per non disperdere le residue prospettive industriali del settore. Per questo è urgente che parta da subito il confronto con il Governo che oggettivamente, con la scelta odierna, si propone come snodo primario ed essenziale dell’intera vicenda”.