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L’appello segnala giustamente la necessità, già nel periodo della emergenza, di andare oltre la politica del breve periodo e dei trasferimenti pur necessari a ridurre l’impatto della pandemia, per progettare un nuovo sviluppo e creare le condizioni per realizzarlo. Un appello simile proviene da larga parte delle forze sociali e si trova nelle recenti prese di posizione del Cnel. Darvi seguito è urgente anche per evitare che la enorme liquidità creatasi a seguito dei provvedimenti del governo e delle autorità europee sia sprecata o peggio distorta a fini speculativi se non illegali.
Il richiamo alla progettualità è più che mai appropriato in epoca come questa di veloci trasformazioni e di grande incertezza, dove è vietato vivere alla giornata e basarsi su decisioni improvvisate. Credo che si debba pensare non a forme di programmazione rigida, ma a esercizi di strategic foresight aperti ad adattamenti e a procedure di verifica continua da parte degli attori pubblici e privati operanti ai vari livelli centrali e locali.
Una condizione per seguire la strada proposta è sicuramente quella di rafforzare la capacità sia di previsione sia di progettazione di tutti gli attori, istituzioni pubbliche, ma anche imprese e operatori privati. Questa capacità progettuale è stata da tempo indebolita dal prevalere di politiche di breve periodo da parte sia del governo e delle istituzioni pubbliche, sia degli operatori economici e finanziari. Il rafforzamento di queste capacità deve essere ad ampio raggio, cioè riguardare tutte gli enti e le energie ideative del nostro paese,a cominciare, come indica l’appello, dalle università e dagli enti di ricerca.
Inoltre, se si vuole che gli interventi siano efficaci, va curato un vero coordinamento fra i vari attori e fra le diverse iniziative per non sprecare le (scarse) risorse. Vanno anche ricercate forme nuove di sinergia fra progettazione e implementazione e fra soggetti responsabili delle varie missioni e progetti specifici. In questa opera è essenziale responsabilizzare le pubbliche amministrazioni ai vari livelli centrali e locali, e ricostruire le loro capacità ideative e realizzative. Sono convinto che le pubbliche amministrazioni devono essere uno strumento fondamentale della progettazione del Paese in una serie di ambiti rilevanti per il nostro sviluppo economico e sociale. E credo che esse debbano ricercare forme nuove di collaborazione con il mondo delle imprese, del lavoro e del terzo settore.
Tale collaborazione è indispensabile affinché la progettazione non sia solo interna e istituzionale, ma abbia un effettivo impatto nei vari settori della economia e del sociale. Penso che sia utile la proposta di istituire una sede istituzionale centrale autorevole in grado di promuovere un’opera di accumulazione di progetti strategici. Sarà il caso di progettarla bene per non creare (altri) enti inutili. In questo disegno rientra anche la necessaria opera di semplificazione delle regole e delle procedure pubbliche. Credo che essa non debba consistere (solo) nel rimuovere gli ostacoli all’azione dei privati, ma anche e anzitutto nel liberare le energie di tutta la società delle amministrazioni pubbliche al fine del migliore perseguimento degli interessi generali.
Una semplificazione così intesa è condizione essenziale per rendere possibile non solo la progettazione ma la effettiva implementazione di tutte le decisioni pubbliche: dalle riforme strutturali, che spesso sono rimaste anche per questo sulla carta, ai progetti e missioni per gli interventi sociali ed economici prioritari indicati nell’appello. Allo stesso fine sarà importante ridefinire il rapporto fra amministrazioni statali, regionali e locali. Tale rapporto si è dimostrato inadeguato a una equilibrata gestione dei diversi poteri pubblici e ha contributo spesso a favorire scelte divaricate nei vari territori più che a massimizzare i pregi della sussidiarietà.
Gli obiettivi proposti dall’appello non richiedono solo maggiori capacità tecniche e migliori scelte organizzative. Richiedono di essere sostenuti dalla partecipazione di tutte le forze sociali alla costruzione di un accordo che definisca le priorità e i contenuti di un nuovo modello di sviluppo. In tale senso si è espresso più volte il Cnel e da ultimo con la sua autorevolezza il governatore della Banca d’Italia. Anche un simile patto, per non restare sulla carta, abbisogna di strumenti implementativi che siano partecipati dalle parti sociali con modalità da progettare in modo diverso, più articolato ai vari livelli e meglio finalizzato che in passato.
Da ultimo l’appello sottolinea il ruolo decisivo dello Stato e delle politiche pubbliche in questa progettualità. In effetti l’intervento dello Stato, dopo decenni di svalutazione e talora di demonizzazione, è ora invocato come strumento essenziale per riparare i danni della crisi sulla economia e per affrettare la uscita dall’emergenza. Ma non meno importante sarà il suo intervento nel determinare le vicende e la ripresa del dopo crisi.
Si tratta però di definire bene quale siano gli obiettivi e l’ambito di tale intervento. Questa è una questione da sempre controversa che dovrebbe essere affrontata senza pregiudizi da una parte e dall’altra delle opposte posizioni che si sono tradizionalmente confrontate. Penso che la responsabilità dello Stato e delle istituzioni pubbliche per il perseguimento di obiettivi generali sia indubbia, ma non debba confondersi con lo statalismo né con l’interventismo indifferenziato dello stato nell’economia e nella società.
Il suo compito deve essere non solo di rimediare ai fallimenti del mercato,come si dice, ma di orientare le scelte fondamentali del Paese, aiutando le imprese a competere nell’attuale contesto di accentuata concorrenza internazionale, correggendo le storiche debolezze del sistema produttivo italiano, con interventi in quei settori che solo una azione pubblica programmata e di lungo periodo può sostenere. Tali interventi sono noti da tempo, ma non per questo meno carenti, a cominciare dagli investimenti nelle principali infrastrutture economiche (materiali e immateriali) e sociali (in primis sanità ,educazione e formazione continua, welfare).
Gli investimenti in nuove tecnologie, specie quelle digitali, sono una priorità, perché offrono grandi opportunità per promuovere uno sviluppo sostenibile, per sostenere la innovazione produttiva e sociale, e per valorizzare il lavoro di qualità, compreso quello a a distanza che ha mostrato capacità eccezionali di diffusione. La regolazione pubblica deve orientare l’uso di queste tecnologie affinché siano occasione non per arricchire pochi ma per diffondere le conoscenze e l’accesso a beni e servizi di utilità generale.
La posta in gioco e le sfide del futuro sono tali che le imprese e tutti gli operatori privati sono chiamati a collaborare con l’azione pubblica, nel rispetto dei ruoli reciproci, per il perseguimento degli obiettivi comuni. Anche le modalità di tale collaborazione dovranno essere ripensate alla luce dei nuovi contesti, e definite all’interno di un accordo sociale.
Le questioni qui analizzate a livello delle istituzioni e delle parti sociali nazionali si pongono anche oltre i confini nazionali, anzitutto nell’ambito dell’Unione europea. Perché nessun Paese può reggere da solo le sfide del futuro, quelle di uno sviluppo sostenibile e del superamento delle diseguaglianze. Di qui l’urgenza di un radicale cambiamento delle regole e delle politiche dell’Unione, che sviluppi i primi interventi delle istituzioni europee, in primis il Recovery fund, nel segno di una maggiore solidarietà economica e sociale.
Tiziano Treu è presidente del Cnel.