Che quello attuale fosse un governo nordista è cosa nota, ma si pensava che un minino di attenzione a ridurre gli stanziamenti per il Mezzogiorno ci fosse, visto che senza le regioni meridionali il Paese arretrerebbe. E invece no: anche con la manovra la scure si abbatte sul Sud tagliando risorse considerevoli nel triennio 2025-2027.

La memoria

A far di conto ci ha pensato la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Lo scorso 10 novembre ha depositato in Parlamento una memoria con somme e sottrazioni dall’esito impietoso: 5 miliardi e 300 milioni in meno nei prossimi tre anni. Una cifra davvero imponente se si pensa a quanti divari ci sono da colmare e quanto il Paese sconta, ad esempio, l’arretratezza delle infrastrutture viarie di quella porzione di territorio. Non solo, ma davvero si pensa che il Sud possa vivere solo di turismo? È bene ricordare che alcune imprese tra le più innovative nei settori – ad esempio – delle energie rinnovabili e dell’aerospazio si sono insediate proprio tra Puglia e Campania e allora perché togliere fondi alla decontribuzione per le assunzioni? E perché dopo aver dato vita alla Zes unica si tagliano una parte di risorse che erano già state rese disponibili?

A conti fatti

Non è difficile arrivare al totale dei tagli. Secondo la Svimez gli effetti finanziari delle misure specifiche per il Mezzogiorno contenute in manovra, cioè l’abrogazione di Decontribuzione Sud, il Fondo interventi per il Mezzogiorno, il credito di imposta Zes Unica e sgravio contributivo neo-assunti Zes Unica sono chiari: 1,78 miliardi in meno nel 2025, -2,92 miliardi nel 2026 e -625 milioni nel 2026. E come direbbe il “saggio” è il totale che fa la somma: 5 miliardi e 300 milioni. Non solo, come è evidente a questo totale vanno sommate anche la riduzione delle entrate fiscali che l’abolizione di Decontribuzione Sud porta con sé. Si legge infatti nel documento: “Secondo le stime ufficiali, l’abrogazione della Decontribuzione Sud comporta minori oneri per la finanza pubblica pari a 5,9 miliardi di euro per il 2025 e a circa 4 miliardi annui nel biennio 2026-2027. Allo stesso tempo, il venir meno della misura comporta una riduzione delle entrate fiscali indotte pari a 948,2 milioni nel 2026 e 605,5 nel 2027”.

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L’allarme della Cgil

A lanciarlo è Christian Ferrari, segretario nazionale della Confederazione di Corso d’Italia che afferma: “Non bastavano l’autonomia differenziata, che penalizza innanzitutto le Regioni del Sud, i definanziamenti decisi con la rimodulazione del Pnrr e i tagli alle infrastrutture meridionali, la riforma delle politiche di coesione e l’istituzione della Zes unica, che allontanano le decisioni dai territori, concentrando tutte le scelte a Palazzo Chigi; è arrivata anche la manovra di bilancio che – come rilevato da Svimez – taglia i fondi per il Mezzogiorno di 5,3 miliardi tra il 2025 e il 2027”.

Sud discriminato

Da quando Meloni è in carica i tagli agli stanziamenti per le Regioni meridionali si sono susseguiti. È cominciata con la revisione del Pnrr a cura del ministro Fitto che guarda un po’, pur essendo lui pugliese, è riuscito a rimodulare a ribasso proprio i progetti del Piano europeo di quelle regioni dal divario maggiore. È proseguito con la Relazione annuale sui servizi pubblici del Cnel che ha certificato: “Un’allocazione ridotta di risorse, che si traduce in una minore offerta di servizi”. Un esempio? “Sul fronte dei servizi sociali, al Sud i livelli di impegno finanziario (95 euro pro capite) sono sempre più bassi di qualsiasi altro territorio (124 euro Nord-Est, 129 euro Centro, 134 euro Nord-Ovest), a fronte di un contesto in cui il tasso di deprivazione socio-economica è molto più elevato. Anche i servizi per il nido sono particolarmente arretrati al Sud, con tassi di copertura ben al di sotto della media (pari al 7%, contro l’18,5% del Nord-Ovest, il 21% del Nord-Est e il 22% del Centro)”. E ciliegina sulla torta la tabella sugli asili nido allegata al Piano strutturale di bilancio che se formalmente rispetta l’obiettivo del 33% posti in asilo nido, proprio quella cifra inchioda il Sud alla propria arretratezza. Già, perché la soglia di copertura prevista per le Regioni meridionali invece viene abbassata al 15%, quasi fotografando l’esistente.

La miopia acceca

“Evidentemente - aggiunge Ferrari - non si vedono il processo di deindustrializzazione in atto per l’area geografica italiana più in difficoltà, lo spopolamento, l’emigrazione di migliaia di ragazze e ragazzi verso il Nord o fuori dai confini nazionali; oppure – peggio - quanto sta accadendo viene ormai considerato dall’Esecutivo e dalla maggioranza un destino ineluttabile”.
La verità è che i ministri e la presidente del Consiglio hanno una strana convinzione, che le Regioni settentrionali bastino a se stesse. Anzi, Salvini, Calderoli e pure il governatore Zaia insieme a Fontana, ritengono che senza la zavorra delle Regioni meridionali le loro spiccherebbero il volo. Davvero una illusione priva di fondamento. Conclude il segretario nazionale: “Ci si illude che il Centro e il Nord se la caveranno comunque. Non è così. O rilanciamo con l’intervento pubblico e le politiche industriali il nostro Meridione, oppure andremo a sbattere tutti. Una domanda interna anemica (che andrebbe rafforzata proprio dove è più debole) e un export in frenata non preparano, come ha sostenuto la presidente del Consiglio nell’incontro con i sindacati, una crescita duratura, ma un declino che rischia di diventare irrimediabile”.

Ci si prepara allo sciopero generale

Più si studia la manovra e più si scoprono tagli, eppure basterebbe prendere le risorse là dove sono. E dopo la convocazione a Palazzo Chigi le motivazioni di Cgil e Uil alla base dello sciopero generale sono ancora più forti. Una legge di bilancio piccola piccola, che taglia welfare, sanità servizi, non redistribuisce la ricchezza prodotta con la fatica dei lavoratori e delle lavoratrici ma anzi promuove un fisco che favorisce evasori profitti e rendite. L’appuntamento è il 29 novembre nelle piazze e nelle strade delle città dove si manifesterà per una nuova politica economica e un nuovo modello sociale e di sviluppo.

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