Anche quest’anno Sbilanciamoci!, 51 organizzazioni e reti della società civile che si occupano di spesa pubblica e di politiche economiche e sociali alternativa, ha elaborato la sua “Controfinanziaria”. Proposte e tabelle che potrebbero sostituire dall’inizio alla fine la manovra del governo. E, come per incanto, 54 miliardi a saldo zero, cioè senza produrre nemmeno un euro di nuovo debito pubblico, che cambiano il segno non solo della legge di bilancio ma del modello sociale ed economico. Fine dell’economia di guerra, sì all’economia di pace, per il lavoro, l’ambiente, l’istruzione, la sanità. Ne parliamo con Giulio Marcon, portavoce della Campagna Sbilanciamoci!

GIULIO MARCON ATTIVISTA
GIULIO MARCON ATTIVISTA
Giulio Marcon, Sbilanciamoci! (IMAGOECONOMICA)

È evidente, lo dimostra il vostro Documento: non è vero che la manovra sia obbligata dallo stato dei conti pubblici. È frutto di scelte. Quale modello di società proponete?
Quella del governo è una manovra che non affronta i problemi più urgenti della nostra società: il lavoro, l'ambiente, la sanità, l'istruzione. Quindi è una manovra che sostanzialmente propone un modello sociale dove ognuno si arrangia da solo e il mercato vince su tutto. Noi, invece, proponiamo esattamente l'opposto. Proponiamo una manovra dove l'intervento pubblico e il ruolo dello Stato sono fondamentali, dove le spese per la salute, per l'istruzione e l'ambiente devono essere accresciute, dove il lavoro è centrale. E mentre il governo taglia i fondi alle politiche industriali, come nel caso del fondo automotive, noi proponiamo di creare un'agenzia nazionale per il lavoro e per il rilancio dei nostri sistemi produttivi. Naturalmente tutto questo con un modello di sviluppo che sia sostenibile, fondato sulla qualità e sul benessere collettivo. Ovviamente occorre ripensare le produzioni e i consumi, e quindi serve una politica industriale vera e conseguente. Il governo, invece, non fa politica industriale, si affida unicamente al mercato, ma a nostro giudizio il mercato ha fallito. Occorre cambiare cominciando proprio da una seria politica industriale.

Meloni sostiene che ci sono pochi soldi e che le scelte sono obbligate dall'Europa, dimenticando che il nuovo patto di stabilità europeo l'ha firmato lei.
Affermazione doppiamente sbagliata perché i soldi, volendo, si trovano, basta andare a prenderli dove ci sono e basta risparmiare su quelle spese inutili che non andrebbero fatte. Noi facciamo una manovra di 54 miliardi senza un centesimo di debito: riduciamo le spese militari, cancelliamo il finanziamento del ponte sullo stretto e impostiamo una politica fiscale fondata sulla giustizia e sull'equità, colpendo i super ricchi, le rendite, i grandi patrimoni. Così si possono recuperare risorse nel senso della giustizia e della progressività fiscale e tagliando ciò che non serve. Al Paese non servono armi, ma più ospedali e più scuole, non serve spendere più di 20 miliardi per i sussidi ambientalmente dannosi che fanno male alla nostra salute e allontanano la transizione ecologica, servono politiche per il contrasto ai cambiamenti climatici e politiche per la mobilità sostenibile.

È di queste ore la notizia che Tavares è stato mandato via da Stellantis, ma la questione vera è che esiste una crisi di tutto il settore dell'automotive. Penso, ad esempio, agli scioperi in Germania, visto che Volkswagen vuole chiudere stabilimenti. Per tutta risposta Meloni sostiene che bisogna far saltare i vincoli europei sull'auto elettrica. Non sarebbe più opportuno cambiare  modello e spostare l'asse sulla mobilità collettiva?
La crisi dell'automotive e del nostro sistema industriale è antecedente alle scelte fatte dall'Europa sul Green Deal, prendersela con Bruxelles e la transizione è veramente una truffa intellettuale. Rimanendo a Stellantis, la crisi data decenni, d’altra parte se i proprietari e i manager vivono all’estero e invece di occuparsi di automobili pensano alla finanza e alle cliniche private questa evoluzione era quasi inevitabile. Per quanto riguarda Volkswagen, è un caso che richiama il crollo che la Germania sta avendo in tutti i settori produttivi. Quel Paese è in profonda crisi, in recessione, e la causa è chiaramente la guerra in Ucraina che ha messo in ginocchio la Germania, visti i suoi rapporti consolidati, anche dal punto di vista di approvvigionamenti energetici, con la Russia. La questione vera è che non si va da nessuna parte con un'economia di guerra, quella che sta sposando l'Europa, quella che hanno sposato gli Stati Uniti. L'Europa ha bisogno di pace, e su questo che bisogna intervenire. La colpa non è della transizione ecologica, la colpa è anche della guerra.

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E allora qual è il modello di sviluppo e la politica industriale che proponete con questa controfinanziaria?
Molto semplice, le istituzioni pubbliche devono assumere un ruolo di primo piano, ovviamente il mercato deve fare la sua parte, ma serve una regia, un ragionamento su quale Italia vogliamo nei prossimi anni. Noi abbiamo un tavolo per l'automotive ma non abbiamo un piano per l'automotive, come hanno in Francia, ad esempio. Non abbiamo una regia sulla mobilità sostenibile, tant'è vero che sul trasporto pubblico locale questa legge di bilancio dà degli spiccioli, 120 milioni, mentre le Regioni chiedono un miliardo di euro in più, perché il trasporto pubblico locale nelle grandi città sta collassando, ed è questa la vera la vera priorità. Proponiamo una politica industriale che abbia nelle istituzioni pubbliche un ruolo importante, che faccia delle scelte chiare verso la transizione Green, perché questa viene vista sempre come un rischio e come un pericolo, in realtà è un rischio lo stare fermi mentre solo investendo sulla transizione possiamo creare nuovi posti di lavoro e dare un futuro alle nostre imprese, come stanno facendo altrove. Ecco, questo è il segno della nostra manovra, tenendo conto che ovviamente un punto centrale è quello del lavoro e delle politiche sociali. Un Paese che non spende in sanità e che definanzia l'istruzione, che non mette soldi per l'aggiornamento e la formazione dei lavoratori e per dare tutele a quelli che perdono il lavoro, non va lontano. Oltre al fatto che lavoro, salute e istruzione sono diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione, e vanno garantiti.

Che cosa occorre fare perché la vostra proposta arrivi dalle parti di Palazzo Chigi? Per cambiare modello sociale e modello di sviluppo e per affermare una altra economia, che ruolo deve avere la società civile?
Deve continuare a lavorare insieme al sindacato, deve fare un'alleanza come abbiamo fatto noi tra lavoro e ambientalismo, e costruire un raggio di iniziativa comune, non occupandosi ciascuno solo del proprio orticello. Purtroppo c'è una parte del terzo settore che ha una deriva corporativa come anche una parte del sindacato, non la Cgil. E ovviamente significa tornare a occuparsi dei diritti e del benessere collettivo, del bene comune. Bisogna continuare a stare in piazza e continuare fornire servizi alle persone dando maggiore politicità al proprio intervento. Insomma la società civile deve, quindi, essere un soggetto collettivo che fa politica, non in senso partitico, ma nel senso di occuparsi del bene comune.