Anche in questo caso, come spesso accade, la premier è frettolosa e imprecisa. Nessun pregiudizio ideologico di Cgil e Uil nel convocare lo sciopero generale del 29 novembre prima dell’incontro con il governo. Lo sciopero generale è stato convocato perché la legge di bilancio fa male all’Italia.

Nessun coinvolgimento delle parti sociali

La manovra era già stata depositata in Parlamento – sebbene in ritardo – e le confederazioni l’avevano ben studiata prima di chiedere a lavoratori e lavoratrici di sacrificare un giorno di salario (salari mediamente bassi: anche un solo giorno in meno pesa e come a fine mese) per far arrivare alla maggioranza il messaggio che tagli su tagli al welfare e a tutto ciò che è pubblico, e nessun investimento, sono ricette sbagliate e contro il Paese. Semmai, ciò che è davvero inusuale è che la manovra sia stata varata senza nessuna interlocuzione con le parti sociali e che, anzi, sono cominciate le audizioni in Parlamento ancor prima di aver – seppure per mera formalità – convocati sindacati e parti datoriali. Davvero una strana idea di come debba essere il confronto tra istituzioni, di come si governa, non comanda.

In tanti dicono no

Ma esiste un record che la premier non sarà contenta di aver conquistato, unire Cgil e Confindustria nel giudizio sulla manovra. Entrambe dicono: non va bene. Anzi, oltre al sindacato e agli industriali, anche il terzo settore, le associazioni dei medici e chi si occupa di sanità come la Fondazione Gimbe o l’associazione dei costruttori concordano in preoccupazioni e pareri negativi. Per l’Ance, la presidente Federica Brancaccio ha manifestato testualmente ai parlamentari presenti all’audizione la “forte preoccupazione per gli effetti negativi che la legge di bilancio rischia di avere sul settore delle costruzioni e quindi sulla crescita”.

Maurizio Tarquini, Ad di Viale dell’Astronomia, parlando della manovra ha ammonito: “Al momento non offre risposte adeguate ai problemi e ai rischi segnalati”, quelli di “perdere base produttiva, soprattutto perché non appare in grado di invertire quella tendenza a livelli di crescita da zero virgola”. Senza appello il giudizio della portavoce del Forum del terzo settore Vanessa Pallucchi: “Povertà e disuguaglianze crescenti, sanità pubblica inadeguata, disagio giovanile, crisi climatica: sono tutte priorità del nostro Paese che questa legge di Bilancio non sta affrontando”. E l’elenco dei no potrebbe proseguire a lungo

Alla fiera dei tagli

L’ha evidenziato il segretario nazionale della Cgil Cristhian Ferrari davanti alle commissioni finanze dei Camera e Senato: la manovra è una concatenazione di tagli a tutto ciò che è pubblico, dalla sanità all’istruzione, dalla ricerca al welfare locale. Tagli ai salari di dipendenti pubblici volendo imporre un aumento contrattuale di un terzo rispetto all’inflazione, e per di più si taglia anche il numero degli stessi, invece che lanciare il piano straordinario di assunzioni. E tagli alle buste paga di lavoratori e lavoratrici dei settori privati a cui, attraverso il consolidamento del cuneo fiscale non entrerà un euro in più ma anzi qualcuno in meno. E per di più tagli anche agli investimenti pubblici eliminando così la possibilità di mettere in campo politiche industriali in grado di affrontare la transizione digitale, ambientale ed energetica, unica via per invertire un declino produttivo sempre più evidente. C’è un unico segno più che certo positivo non è, quello per le spese militari: 35 miliardi di euro da qui al 2039, tra il ministero della Difesa e il Mimit.

Un paese già malato grave

“Aumenta l’occupazione, aumenta il Pil, l’Italia è più bella e più brava degli altri….”. Non è chiaro se Meloni racconta una realtà che non esiste per rassicurare gli italiani o se stessa, ma la realtà è un’altra e sono i numeri ufficiali a dirlo. Li ha ricapitolati in Parlamento il segretario nazionale della Cgil: “Il pil cresce dello ‘zero virgola’; la produzione industriale cala da 19 mesi consecutivi (da novembre 2022 ad agosto 2024 il fatturato manifatturiero è sceso dell’8%); la domanda interna ristagna mentre l’export, ad agosto, ha perso il 6,7% in valore (il 10,7% in volume) sull’anno precedente; precarietà, lavoro nero e sommerso colpiscono 6 milioni di lavoratori; l’evasione fiscale e contributiva è a quota 82,4 miliardi; lavoratori e pensionati pagheranno, nell’anno in corso, oltre 17 miliardi di Irpef in più; l’inflazione cumulata nel triennio 2021 – 2023 è stata del 17,3”. E, ciliegina sulla torta l’Istat, ha certificato che a settembre si sono persi oltre 63 mila posti di lavoro, altro che record di occupazione.

E ci sono le aggravanti

Oltre il 52% dei dipendenti – quasi 7 milioni di uomini e donne – sono in attesa del rinnovo del contratto, e se si osserva l’occupazione senza le lenti della propaganda si scopre che saranno anche aumentati gli occupati ma con il Pil che non cresce e la diminuzione delle ore lavorate l’equazione è semplice e triste, i posti di lavoro creati sono di bassa qualità, mentre aumentano gli over 50 al lavoro e aumentano la precarietà e le ore autorizzate di cassa integrazione guadagni  44,9 milioni a settembre 2024, cioè +84,2% rispetto al mese precedente, mentre diminuisce la popolazione in età da lavoro.

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La soluzione dipende dalle scelte

Tagliare non è né inevitabile, né obbligatorio. Meloni e il suo governo  hanno deciso di tagliare la spesa sociale e la spesa pubblica anziché intervenire sulle entrate. Decisione comunicata in Europa attraverso il Piano strutturale di bilancio con il quale l’esecutivo si impegna consolidare il debito di 13 miliardi annui per i prossimi sette anni, cioè ben oltre la durata dell’attuale legislatura e di questo governo. I soldi per non tagliare però ci sono, basta decidere di andarli a prenderli là dove stanno negli extra profitti e profitti (decine e decine di miliardi), nelle rendite e ricchezze, nei grandi patrimoni, nell’evasione fiscale e contributiva (paria 82,4miliardi).  Dunque, è proprio una questa di priorità e scelta, quella di Meloni va contro lavoratori, pensionati,Paese.

Lo sciopero generale

Ferrari in Parlamento l’ha detto forte e chiaro, evitare la fiera dei tagli è possibile, basta rispondere positivamente alle rivendicazioni del sindacato: aumentare salari e pensioni; sostenere e rilanciare sanità, istruzione e servizi pubblici; promuovere politiche industriali che puntino a cambiare un modello di sviluppo ormai insostenibile sia dal punto di vista sociale che da quello ambientale. Questa la via che serve al Paese, senza le risposte che servono l’appuntamento è nelle piazze italiane il prossimo 29 novembre a braccia incrociate e passo sostenuto.

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