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Ormai è chiaro a tutti l’importanza strategica dei semiconduttori. Così strategica che, come ci racconta l’ultimo numero della rivista Limes, su questi e sulla loro produzione e disponibilità basano anche scelte di natura geopolitica. Ma cosa sono i semiconduttori e perché sono cosi importanti per la rivoluzione tecnologica?
Si tratta di circuiti elettrici miniaturizzati fondamentali per realizzare qualsiasi componente elettronica, soprattutto componenti fondamentali dei chip e microchip; la carenza attuale di questi elementi è ormai evidente. Ad esempio per chi oggi voglia comprare un'auto nuova e si sente dire che ne avrà disponibilità forse a fine anno, dato che l’industria dell’auto necessita di un numero sempre più elevato di chip per la guida assistita: chip che diventano molto sofisticati se si pensa alla guida autonoma.
Di fatto molte case automobilistiche hanno deciso di eliminare alcune funzioni dai veicoli, per mettere comunque sul mercato le auto ed evitare di chiudere le linee di produzione I semiconduttori sembrano ormai introvabili ed è bene sapere che sono utilizzati per la produzione di tutti i chip che, a loro volta, sono indispensabili per le Central Processing Unit o Cpu e i processori grafici Gpu, che troviamo nei tablet, negli smartphone, nella smart-tv e cosi via. Parimenti servono per gli elettrodomestici smart.
Certamente la carenza dei microchip è stata implementata dalla pandemia, che ha comportato un incremento di richiesta di dispositivi tecnologici ma anche l'interruzione del flusso di componenti necessari lungo la catena di fornitura di semiconduttori, di fatto distribuita in tutto il mondo. In aggiunta l’acuirsi della tensione economica tra Usa e Cina non ha contribuito a una maggiore disponibilità di semiconduttori e di microchip.
L’amministrazione Usa ha di fatto cercato di impedire l’esportazione verso la Cina, non solo dei chip più avanzati ma anche dei macchinari per realizzarli, ponendo il veto sia alle imprese statunitensi sia a quelle che producono chip sulla base di brevetti americani. In particolare, gli Usa cercano di rallentare la crescita tecnologica cinese limitando l’esportazione dei chip più sofisticati necessari per i sistemi di supercalcolo, fondamentali per diventare leader nel settore dell’intelligenza artificiale.
Contestualmente in agosto scorso agosto l’amministrazione Biden ha approvato il Chips and Science Act: una misura da 280 miliardi di dollari che prevede 52 miliardi di sussidi per sostenere le aziende che decidono di costruire impianti di produzione dei chip su suolo americano. Sono stati riservati anche 500 milioni di dollari per l’istituzione di un Fondo internazionale per la sicurezza e l’innovazione tecnologica.
Questa situazione spiega le attenzioni che Usa e Cina mostrano per Taiwan, sede di Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company Limited), azienda da cui di fatto dipendono entrambi i Paesi. Di fatto Taiwan produce circa il 90% dei microchip di ultima generazione e circa il 65% dei chip che gli Usa utilizzano provengono da Taiwan. Ecco dunque che diventa chiaro come, sulla primazia tecnologica globale, si gioca di fatto una partita politica mondiale, a partire dai componenti “fisici” che consentono alla tecnologia digitale di funzionare.
Intanto anche la guerra che coinvolge l’Ucraina rappresenta uno stop alla possibile produzione di chip: l’Ucraina è infatti il principale esportatore di neon, il gas che viene utilizzato per i laser che producono l’incisione dei chip, mentre quasi un terzo del palladio mondiale, un metallo raro utilizzato anche nella fabbricazione di alcuni semiconduttori, viene dalla Russia. La guerra ha reso dunque il quadro della supply chain dei chip ancora più fragile e instabile. E l’Europa?
Consapevole della necessità di investire sul territorio europeo ed accorciare cosi le filiere di approvvigionamento l’Ue ha predisposto il Chips Act (leggi qui), il pacchetto legislativo europeo sui semiconduttori, approvato l’8 febbraio 2022 dalla Commissione europea. Il testo prevede lo stanziamento di 43 miliardi di euro per la creazione di una vera filiera europea sia di design che di produzione materiale dei chip, con l’obiettivo di raddoppiare entro il 2030 la produzione di semiconduttori.
Il cuore legislativo è la proposta di regolamento che prevede l’utilizzo di queste somme nella realizzazione di nuove fabbriche, nel potenziamento di quelle già operanti nel settore e anche nel supporto di aziende e start-up che abbiano ad oggetto lo sviluppo sia di software che di hardware del settore. Un atto importante se si pensa che, secondo le stime della European Semiconductors Industry Association, negli anni ‘90 in Europa si produceva il 40% dei chip del mercato globale, nel 2020 solo il 10%.
Con il Chips Act si vorrebbe rendere dal 2024 l’Ue leader nella produzione di microchip, pari o inferiori a due nanometri. C’è chi sostiene che 43 miliardi non siano una cifra adeguata per l’obiettivo posto, ma è certo che sia determinante l’approvazione del regolamento, in discussione al Parlamento, e l’inizio delle attività necessarie a ridare centralità alla produzione europea di elementi necessari per garantirsi un ruolo non secondario nello sviluppo digitale.
A oggi gli stabilimenti che producono microchip in Europa sono in Germania e in Francia, in Irlanda, nei Paesi Bassi ma anche in Italia. Dunque il combinato disposto di finanziamenti ad hoc in uno spazio europeo e politiche industriali finalizzate possono garantire anche un aumento di posti di lavoro ed il recupero di una centralità anche del nostro Paese. È giusto allora ricordare che il 15 novembre del 1971 Intel, l’azienda statunitense che dovrebbe tornare a investire in Europa e forse proprio in Italia, lanciò il primo microprocessore disponibile in commercio; chi lo sviluppò? Proprio un italiano, Federico Faggin. Dunque, risorse adeguate per ricerca e sviluppo, investimenti mirati, recupero di competenza e politiche industriali europee e nazionali possono riportare l’Europa e l’Italia ad avere un ruolo centrale anche nella quarta rivoluzione industriale.
Cinzia Maiolini è responsabile Ufficio 4.0 Cgil