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“Colmare il gap che ancora condanna quasi il 40% del territorio nazionale a uno stato di arretratezza digitale (e non) è indispensabile. Questa realtà non è più sostenibile né tollerabile”. Lo affermano la responsabile Politiche e sistemi integrati di telecomunicazione Cgil nazionale Barbara Apuzzo e il segretario nazionale Slc Cgil Riccardo Saccone, commentando il V Rapporto Auditel Censis sulla “Transizione digitale degli italiani” appena presentato in Parlamento. E nel valutare i risultati è bene ricordare che uno degli obiettivi di Next Generation Eu è proprio quello di favorire e incentivare la transizione digitale.
Cosa dice il Rapporto
Dal 2017 al 2021 la spesa degli italiani per dotare le proprie abitazioni di strumenti per connettersi alla rete (dalle smart tv ai pc, dagli smartphone ai tablet) è aumentata, e non di poco. Basti pensare che gli schermi presenti nelle case degli italiani sono quasi 120 milioni, per una media di cinque schermi a famiglia. Tra questi, i device connessi sono 93 milioni 200 mila e sono aumentati di quasi 20 milioni negli ultimi cinque anni.
A farla da padrone, visti anche gli incentivi statali per accelerare il passaggio al digitale, sono le tv. Sono circa 43 milioni, presenti nel 97,3% delle abitazioni. 16 milioni 700 mila apparecchi sono connected tv, in crescita del 210,9% rispetto al 2017. E poi gli smartphone: sono ben 48 milioni, sei milioni in più nel corso del quinquennio.
La rete
Certo, per scaricare video o girare in internet occorre una buona connessione. Il Rapporto racconta che sono 21 milioni e mezzo le famiglie connesse alla rete, in aumento di un milione e mezzo rispetto al 2017. “Il 61,7% delle famiglie vive in una zona coperta dalla banda larga e circa il 60% delle famiglie possiede sia connessione fissa sia connessione mobile, ed è in grado di navigare ovunque in modo efficace ed efficiente”.
Buona notizia, certo, ma non sufficiente. Perché se il 60% è connesso, il restante 40% non lo è. La mancanza di copertura non fa che aumentare i divari tra i diversi territori visto che, ovviamente, a stare assai peggio sono Sud e isole. Lo ricordavamo: uno degli obiettivi del Pnrr è proprio quello di superare questo gap, ci sono 6,7 miliardi di euro per connettere tutta l’Italia entro il 2026 con reti ad altissima velocità, fisse e mobili. E sostenere, attraverso l’introduzione di misure di aiuti economico, la domanda di connettività delle fasce deboli di popolazione. Ma il governo si sta muovendo nella giusta direzione?
Il commento della Cgil
In realtà, mica tanto. A cominciare dall’implementazione del Pnrr, dalla poca chiarezza sulla rete unica e sul destino di Tim. “Sfortunatamente l’opportunità dei fondi europei - riprendono Apuzzo e Saccone - sembra non essere stata colta appieno, prova ne sia i problemi riscontrati fin dall'emanazione dei primi bandi riguardanti le operazioni meno appetibili dal punto di vista commerciale, che sono andati in prima battuta deserti”.
Ma ovviamente la preoccupazione non si limita a questo: “Se si aggiunge la confusione riguardante la modalità con cui il governo vorrà procedere per la definizione di una rete unica, e dunque anche riguardo alle scelte che determineranno la sopravvivenza o al contrario la fine di Tim, le condizioni ci sono tutte per affermare l'assenza di una reale consapevolezza di quanto questo appuntamento con la storia rischi di essere mancato”.
In gioco non c’è solo lo sviluppo del Paese, che pure non è poca cosa. C’è anche il destino democratico dell’Italia: la distanza tra inclusi ed esclusi rischia di aumentare. “Noi continuiamo a ribadire che il cavo, di per sé, è inerte", aggiungono i due dirigenti sindacali: "Ragionare per compartimenti stagni, separando dove servirebbe integrazione, è anacronistico e antistorico".
Manca un progetto, dunque. "Manca la visione di ciò che deve essere la reale architettura infrastrutturale del Paese, su cui si possano poggiare le basi per realizzare e consolidare la transizione digitale", concludono la responsabile Politiche e sistemi di telecomunicazione Cgil nazionale Barbara Apuzzo e il segretario nazionale Slc Cgil Riccardo Saccone: "E poi manca del tutto un’idea di politica industriale in grado di rilanciare, invece che affossare (questa volta per sempre), l’incumbent nazionale, e con esso migliaia di lavoratrici e lavoratori”.