Chissà se è accanimento terapeutico, presa in giro, incapacità a far di conto o strategia precisa. Sta di fatto che qualunque cosa sia l’effetto non cambia. Il Governo Meloni continua pervicacemente a raccontare che sta provvedendo a riformare il fisco, così da abbassare le tasse soprattutto ai redditi medi e bassi, ma nella realtà tartassa lavoratori e lavoratrici dipendenti. Cioè quelli che le tasse le pagano e fino all’ultimo centesimo.

La denuncia arriva dalla Cgil

“A seguito alle disposizioni del D.Lgs. n. 216/2023 ‘Primo modulo di riforma dell’Irpef’, ci sarà una ricaduta importante sugli acconti Irpef e acconto addizionale comunale 2025, quindi con la dichiarazione dei redditi che si presenterà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”. È l'allarme lanciato dal segretario confederale della Cgil Christian Ferrari, e dalla presidentessa del Consorzio nazionale Caaf Cgil, Monica Iviglia.

Il fatto

Come tutti i contribuenti onesti sanno, arriva marzo e con lui il tempo della dichiarazione dei redditi. I datori di lavoro hanno provveduto a inviare la Certificazione unica ai propri dipendenti che stanno prenotando ai Caaf l’appuntamento per redigere correttamente la dichiarazione. Quello che molti non sanno è che si troveranno a dover pagare un acconto Irpef ben superiore a quello previsto, perché grazie alla fantomatica riforma targata Meloni e Giorgetti le aliquote per calcolare l’acconto del 2025 sono quelle del 2023, più alte di quelle in vigore.

L’antefatto

Lo illustrano i dirigenti sindacali che spiegano: “L’art. 1, comma 4 del D.Lgs. n. 216/2023 ha stabilito che, per l’anno d’imposta 2024, al fine di determinare gli acconti Irpef 2025 e 2026 relativi ai periodi d'imposta 2024 e 2025 si assume, quale imposta del periodo precedente, quella determinata secondo gli scaglioni e le aliquote Irpef (23%, 25%, 35% e 43%) e la detrazione per redditi di lavoro dipendente vigenti al 31 dicembre 2023 (euro 1.880). Aliquote non più in vigore e nettamente superiori alle attuali”.

Le conseguenze dell’antefatto

Sosteneva un politico del secolo scorso che a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina. E allora ci domandiamo come mai queste norme valgano solo ed esclusivamente per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti e non anche per gli autonomi, le partite Iva, quelle per le quali vale la flat tax e anche concordati e condoni. Magari commettiamo peccato, ma il sospetto che si faccia cassa sui dipendenti sorge spontaneo. “Questa disposizione - proseguono Ferrari e Iviglia - che riguarda esclusivamente i lavoratori dipendenti, ha la seguente ricaduta: un lavoratore che nel 2024 ha percepito solo redditi di lavoro dipendente con CU correttamente conguagliata e oneri sostenuti nel 2024, dovrà versare addirittura l’acconto Irpef 2025, anche se dalla liquidazione della dichiarazione tale importo non sarebbe dovuto se si applicassero le aliquote e gli scaglioni 2024”.

Saper far di conto

La Cgil e i Consorzio dei Caaf non solo sanno contare, ma sanno anche provare a definire quello che accadrà realmente. “In uno dei casi che abbiamo esaminato, una dichiarazione 2025 con un rimborso di 165 euro, a seguito di questo ricalcolo viene determinato un acconto di 95 euro, che verrà restituito con la dichiarazione del 2026, qualora la situazione di questo lavoratore non dovesse subire modifiche; di fatto un importo non dovuto. Ma a prescindere da questo, anche un soggetto esonerato dalla presentazione della dichiarazione, con un reddito da lavoro dipendente superiore a 8.500 euro (no tax area), presentando il 730 dovrà pagare un acconto Irpef 2025. E spesso la dichiarazione non è un’opzione, ma una necessità, per esempio se si intende chiedere un mutuo per acquistare una casa”.

È necessario intervenire

Se quel che è accaduto è un errore in buona fede, allora va corretto subito. Se non è errore ma appunto necessità dettata da difficoltà di cassa, altrettanto immediatamente va corretto. In ogni caso sarebbero opportune e gradite anche le scuse di chi si vanta - a vanvera come dimostrato - di pensare ai cittadini e alle cittadine con i redditi più bassi. “Chiediamo al Governo - concludono Ferrari e Iviglia - di rimediare immediatamente a questa clamorosa ingiustizia. Va utilizzato il primo veicolo legislativo a disposizione. Siamo ormai di fronte a una situazione intollerabile: gli unici che pagano per intero le imposte, vengono penalizzati anziché essere sostenuti. Con la norma in questione lo Stato fa cassa con anticipi non dovuti: fanno dunque credere di abbassare le tasse e poi ricalcolano gli importi con quelle precedenti. È arrivato il momento di dire basta, non si può continuare a vessare chi vive di salario”.