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Che i salari in Italia fossero bassi lo sapevamo da tempo. Ma i dati e i numeri riferiti agli ultimi 31 anni resi noti dall’Inapp lasciano davvero senza parole. Secondo il rapporto 2023 dell’Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, tra il 1991 e il 2022 nel nostro Paese i salari reali sono rimasti pressoché invariati, cresciuti solo dell’1 per cento, mentre nell'area Ocse (38 Paesi, dalla Germania alla Corea, dagli Stati Uniti al Giappone) sono aumentati in media del 32,5 per cento. Addirittura nel 2020, in piena pandemia da Covid, da noi si è registrato un calo del 4,8 per cento.
Scarsa produttività
Accanto a questo si è sviluppato il problema della scarsa produttività, che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta è stata molto inferiore rispetto ai Paesi del G7. Il divario massimo lo abbiamo registrato nel 2021: 25,5 per cento. Dopo la crisi pandemica il mercato del lavoro ha ricominciato a crescere, precisa l’Inapp, ma questo percorso sembra accidentato dalle criticità strutturali che lo caratterizzano.
E cioè: bassi salari e scarsa produttività, appunto, e poi “poca formazione e un welfare che fatica a proteggere tutti i lavoratori, non avendo alcun paracadute per oltre 4 milioni di lavoratori non standard, dagli autonomi a chi è stato licenziato o è alla ricerca, passando per gli occupati della gig economy fino ai cosiddetti working poors” si legge nel report.
Incentivi poco efficaci
Se ci aggiungi i fattori esterni, la guerra alle porte dell’Europa, la crescita dell’inflazione, la crisi energetica, arrivi a spiegare la grande lentezza dell’Italia. Neppure gli incentivi statali per le assunzioni hanno portato i benefici sperati: più della metà delle imprese, ovvero il 54 per cento, dichiara di aver assunto nuovo personale dipendente, ma solo il 14 per cento sostiene di aver utilizzato almeno una delle misure previste dallo Stato.
L’erosione dei salari
“I dati dell’Inapp confermano quanto sosteniamo da mesi – afferma Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale della Cgil -: il salario degli italiani è stato eroso da tanti fattori, tra cui l’inflazione generata dalla crisi degli energetici e dalla speculazione originata per effetto dei conflitti, ma ha degli elementi di debolezza a cui bisogna assolutamente dare una risposta. Mentre i profitti e le grandi ricchezze in mano a pochi crescono, i redditi delle persone che lavorano perdono potere d’acquisto”.
Il ruolo della contrattazione
“Questa situazione dimostra quanto sarebbe stato importante discutere di salario minimo e del ruolo della contrattazione collettiva – prosegue la dirigente sindacale -, così estesa nel nostro Paese che però negli ultimi 10-15 anni sta soffrendo, come ha ben delineato l’Inapp. Il contratto nazionale andrebbe supportato e rafforzato e la delega del governo non va in quella direzione. Anche nella legge di Bilancio continua a non esserci una risposta. In più occasioni l’esecutivo avrebbe potuto dare un sostegno ai redditi reali dei lavoratori, con strumenti strutturali e una leva fiscale che oggi è assolutamente risibile”.
Meno assunzioni
C'è poi il dato delle assunzioni che nel 2022 è rimasto positivo (414 mila nuove attivazioni nette) ma è peggiorato rispetto al 2021, anno in cui è stata registrata la cifra 713 mila. L’Inapp conferma le questioni demografiche già sollevate da uno studio della Cgil, che hanno portato a ridimensionare i record dei tassi di occupazione certificati dall’Istat: mentre nel 2002 ogni mille persone che avevano un’età compresa tra 19 e 39 anni ce n’erano poco più di 900 di 40-64 anni, nel 2023 quest’ultimo valore ha superato le 1.400 unità. Ogni mille lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 adulti-anziani.
Formazione per pochi
Nota dolente, la formazione continua, sulla quale si confermano livelli bassi di partecipazione. Gli adulti tra 25 e 64 anni che hanno partecipato ad attività di istruzione e formazione nel 2022 sono stati solo il 9,6 per cento, più del 2020 ma molto meno del resto dell’Europa: nel confronto con la media europea, 11,9 per cento, il nostro Paese perde terreno (meno 2,3 per cento) rispetto all’avanzamento registrato l’anno precedente.