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“Siamo il primo paese per attuazione del Pnrr” affermano entusiasti Meloni e Fitto, “abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi previsti per ottenere anche la V rata dei finanziamenti”. Siamo in ritardo con la messa a terra delle risorse, afferma più sobriamente la Ragioneria dello Stato nel Report di verifica dello scorso giugno. Dove sta la verità?
La verità è che tra la propaganda è la realtà esiste notevole differenza, e se il governo di destra è assai “professionale” nella nobile arte della propaganda, ha qualche problema in più ad attenersi alla realtà.
Verità o falsità?
È certo vero che l’Italia ha raggiunto gli obiettivi della V rata del Piano e che Bruxelles ha dato disco verde al pagamento. Fitto però dimentica dire che la maggior parte degli obiettivi da raggiungere erano di tipo normativo, le riforme! Ed è altrettanto vero che rispetto al Piano varato da Draghi, mesi fa il Governo in carica ha chiesto e ottenuto una rimodulazione che ha spostato, però non solo nel tempo - sempre entro il 2026 però – alcuni degli obiettivi, ma ne ha anche depotenziato altri, dal numero di posti degli asili nido alle case e ospedali di comunità solo per fare due esempi.
La verità è spesso brutale
A suonare, forte, la campanella, è stata appunto la Ragioneria dello Stato che nell’ultimo Report ha richiamato ad un maggior senso di responsabilità. Il Paese è bravo a centrare gli obiettivi di natura normativa, tanto più che lo fa a colpi di maggioranza e di decreti legge, non altrettanto a spendere. Fino a oggi sono stati incassati 102,5 miliardi ne abbiamo spesi 49,5, meno della metà, e nei primi 5 mesi del 2024 solo meno di 4 miliardi. Se poi si pensa che una quota consistente di quanto speso serve per gli stipendi dei lavoratori e lavoratrici della pubblica amministrazione assunti – a tempo determinato – proprio per il Pnrr ben si capisce l’allarme lanciato dal ministro dell’Economia Giorgetti che dice: “spendete, spendete, spendete”. Come faremo a spendere quasi 150 miliardi nel due anni e pochi mesi che ci separano dalla scadenza del Piano? E questa lentezza si registra nonostante, forse sarebbe meglio dire anche a causa, della iper centralizzazione di tutte le procedure voluta strenuamente – e ottenuta – dal ministro Fitto che ha concentrato tutto nelle sue mani.
Il primo tradimento
Non abbiamo dati certi, oltre i report della Ragioneria dello Stato e a quanto pubblicato sul sito Italia Domani, nulla si sa. “Abbiamo più volte chiesto l’accesso alla Piattaforma Regis ma nonostante Bruxelles abbia messo nero su bianco che nella governance del Pnrr debbano sedere anche le parti sociali, e nonostante lo preveda il Decreto italiano che istituisce la Cabina di regia del Piano italiano, in realtà non conosciamo i dati reali”. Gigi Caramia è il responsabile nazionale del Pnrr per l’Area Politiche dello sviluppo della Cgil e sostiene che questo sia il primo tradimento, una governace che esclude le parti sociali che secondo l’Europa dovevano avere il compito non solo di monitorare, ma anche di indirizzare ed invece: “le pochissime volte che si è riunita la Cabina di regia sono arrivati con decisioni già prese e senza numeri”.
Diritto alla salute, obiettivo mancato
Non solo Fitto e Meloni hanno ridotto i numeri delle strutture che dovranno costituire la rete della sanità di territorio, dalle case e ospedali di comunità alle centrali operative, ma “come faranno a costruirle in tempo?”. Nex Generation Eu, è bene ricordarlo, nacque come risposta all'emergenza sanitaria, la pandemia ci ha disvelato l’insufficienza della sanità territoriale che avrebbe dovuto essere il cuore degli interventi, e invece, non solo ha perso centralità ma stiamo assistendo un ridimensionamento fortissimo degli interventi. Per Daniela Barbaresi, segretaria nazionale della Cgil: “Drammatico il ritardo che si registra sulla realizzazione dei lavori sulla Missione 6 che dovrebbe comportare un deciso miglioramento nella presa in carico delle persone con l’attuazione della riforma dell’assistenza territoriale. Invece tutto o quasi è fermo proprio nel settore tra i più rilevanti per il benessere delle persone”. “Non è solo una questione di ritardo nella realizzazione di quella rete territoriale di servizi che potranno alleggerire la pressione sugli ospedali e concretamente rispondere alle liste d’attesa, si arriva all’irresponsabilità istituzionale quando non si vede nessuna misura volta a garantire poi il funzionamento dei servizi derivanti dagli investimenti previsti dal Pnrr. Di pari passo alla progettazione delle strutture dovevano procedere l’organizzazione del personale, piani di assunzione pluriennali, riorganizzazioni dei servizi favorendo l’integrazione socio-sanitaria e ripensando i percorsi tra ospedali e territorio al fine di scongiurare le note cattedrali nel deserto”.
Traditi gli anziani e i disabili
Tra gli obiettivi indispensabili ad ottenere le prime rate del Pnrr quello della riforma della legge sulla non auto sufficienza, la fetta della popolazione più fragile. Peccato che l’obbiettivo sia raggiunto solo sulla carta. La riforma è stata approvata ma non finanziata. Sono avviate solo parzialissime sperimentazioni che riguardano lo “0,” degli aventi diritto e le sperimentazioni sono finanziate con risorse già esistenti. Afferma infatti Tania Scacchetti, segretaria generale dello Spi: “La non autosufficienza continua a restare un tema non adeguatamente affrontato, né in il termini di adeguatezza di risorse nè’ in termini di incrementi delle risposte e dei servizi dal punto di vista sanitario e socio sanitario. Il Pnrr aveva la giusta ambizione di investire su territorialità e domiciliarità per rispondere alle crescenti fragilità e cronicità delle persone”. “Oggi - aggiunge la dirigente sindacale - è ancora gestita esclusivamente con una risposta, scarsa, di trasferimento monetario, le riforme rischiano di rimanere modifiche sulla carta o strutture vuote di personale e di cambio dei modelli organizzativi. L’attuazione piena della Legge 33 resta un obiettivo prioritario per il sindacato dei pensionati e oggetto di vertenzialità diffusa nei territori oltre che a livello nazionale”.
Divari di genere
Aver ricevuto in dote la quota maggiore di investimenti non è per generosità nei confronti dell’Italia, è direttamente proporzionale alla profondità dei divari che ci caratterizza. Tra questi forse quello più stridente è quello di genere. negli scorsi giorni Period Think Tank, associazione che promuove l’equità di genere, ha presentato a Roma il bilancio di genere dello stato di attuazione del Piano, la è impietosa, l’Obiettivo 5, quello appunto sulla parità di genere, risulta il meno finanziato, neanche 1 miliardo. Non solo, pur essendoci la clausola sulla riserva di occupazione femminile nei progetti del Pnrr le deroghe sono tali che è come se quella norma non esistesse. E a dirlo è il presidente dell’Anac Busia: “I dati mettono in evidenza come gli incentivi normativi abbiano prodotto risultati molto inferiori a quelli sperati. Troppe volte si è fatto ricorso alle deroghe e spesso senza adeguata motivazione". Netta è Lara Ghiglione, segretaria nazionale della Cgil che afferma: “Non possiamo che denunciare il totale fallimento del governo Meloni. Altro che 30% di posti riservati alle donne. La verità è che anche le scelte compiute per le risorse del Piano risentono dell’idea che questo Governo ha del ruolo delle donne: essere principalmente madri al servizio della famiglia. Sino ad arrivare a metterne in discussione la libera scelta e l’autodeterminazione attraverso l’inserimento delle associazioni antiabortiste nei consultori, come è accaduto per l’ultimo Decreto Pnrr”.
Divari territoriali
Altro che ritardi, qui si che si tratta di vero tradimento! Alcuni esempi? Per Legge il 40% degli investimenti pubblici devono essere fatti nelle regioni meridionali, ma l’ultimo monitoraggio risale al 31 dicembre del 2022! Caramia racconta che l’Area per lo Sviluppo economico della Cgil sta per pubblicare uno studio sull’ecobonus, dimostra che solo il 26% di questo strumento è stato destinato al Mezzogiorno. Se tanto mi da tanto il conto è presto fatto. E veniamo ai dati certi, sono stati fatti tagli all'alta velocità nel Sud per 787 milioni, con l'eliminazione della Pescara a Roma sono state ridimensionale le risorse per le connessioni diagonali, meno quasi 700 milioni, ridotte di 345 milioni le risorse per il miglioramento delle stazioni ferroviarie del Sud. Contemporaneamente viene aumentata la dotazione finanziaria per i collegamenti di alta velocità del Nord di quasi 160 milioni in più.
Digitale, scommessa persa?
Continuano i ritardi e le criticità nella realizzazione della missione dedicata agli investimenti per la realizzazione di connessioni internet veloci, banda ultra-larga e 5G. Alla base del ritardo nella cablatura del Paese ci sarebbe la non corrispondenza tra le previsioni fatte in fase di mappatura e la ricognizione effettuata sul campo in relazione agli edifici da raggiungere. Questa non corrispondenza determinerebbe oggi, a detta di Open Fiber, un ritardo di almeno un anno, il che significherebbe perdere 1,8 miliardi di fondi europei, consolidando nelle diverse aree del Paese destinatarie degli interventi una situazione di grande arretramento tecnologico. Senza contare il rischio occupazionale per i 10mila posti di lavoro che gravitano direttamente e indirettamente intorno a Open Fiber. Altro gravissimo ritardo è quello relativo alla migrazione di dati e servizi verso il PSN. Nella quarta relazione del governo sull’attuazione del Pnrr, si è ridimensionato il target previsto per settembre 2024 che stabiliva il passaggio completo dei servizi sul Polo Strategico nazionale per 100 tra PA e Asl. Secondo Riccardo Saccone, segretario generale della Slc Cgil: “Purtroppo questa per noi non è una sorpresa. La denuncia di quanto fosse folle distruggere Tim, un campione nazionale integrato nelle telecomunicazioni, nasceva proprio dalla considerazione che la costruzione di una infrastruttura complessa quale quella della rete digitale avesse bisogno di una realtà che guidasse il processo, nel rispetto del libero mercato ma con obiettivi chiari che non rispondessero solo ad interessi economico-finanziari ma avessero l'ambizione di unire il Paese attraverso la nuova infrastruttura. Il modello "wholesales only", quello di Open Fiber per capirci, aveva già mostrato nel tempo tutti i suoi limiti. Ora il danno è fatto, credo sia responsabilità di tutti lavorare perché quegli investimenti vengano fatti con l'obiettivo primario di unire il Paese ed una attenzione severissima alle condizioni lavoro generate da quegli investimenti ed alla legalità”.
E non finisce qui
L’elenco di ritardi e vuoti, come anche delle preoccupazioni, è lungo. Dai 200 milioni per gli interventi in edilizia contro il caporalato, alla bolla di precariato legato al Pnrr, agli interventi per la transizione ambientale. La domanda, inevitabile, allora è: si farà in tempo nei poco più di due anni che mancano alla scadenza, a spendere tutte le risorse? “Visto come stanno le cose, missione quasi impossibile, occorrerebbe uno sforzo corale di tutto il Paese e un cambio nella governance”. “Ma spiega concludendo Caramia: “Il tradimento più grave consiste nell’aver demandato al mercato le politiche di sviluppo del Paese. Questo Governo ha spostato una parte consistente di fondi dal capitolo investimenti a quello incentivi alle imprese e per di più non ha previsto nulla su cosa succederà dopo. Il Pnrr doveva servire per i prossimi 10/20 anni. Ma di questo non vi è traccia”.