PHOTO
Tanti miliardi, quasi un terzo di quelli di Nex generation Eu. Ai quali si aggiungono quelli del Fondo complementare e quelli del Fondo Coesione, che nei prossimi anni dovranno essere spesi da Regioni e comuni che dovranno attuare, partecipando a bandi e avvisi pubblici, alla realizzazione delle del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tutto questo deve avvenire nei tempi definiti dall’Europa, altrimenti da Bruxelles il flusso degli assegni si interromperà. Una bella scommessa che non possiamo perdere.
Una scommessa che non riguarda solo gli amministratori locali, ma anche gli altri soggetti sociali presenti nei singoli territori. Questi hanno il compito di “governare”, cioè definire le priorità in conformità con le missioni trasversali e gli obiettivi del Pnrr, e seguire tutto il processo di realizzazione dei singoli progetti. Lo stabilisce la Legge sulla governance e il Protocollo del 23 che la attua: prevede che il confronto con i sindacati non sia meramente consultivo o episodico, ma preventivo e reale e segua tutto il processo che porta a definire progetti e relativi stanziamenti per mettere a terra i contenuti delle 6 Missioni del Pnrr. Questo vale non solo a livello nazionale, ma anche a quello regionale e degli enti locali. Come si realizzerà il confronto? Attraverso tavoli, dice il Protocollo, che dovranno essere collocati nei singoli ministeri titolari di missioni e progetti, in ogni regione e in ogni comune e dovranno essere convocati con regolarità.
Le risorse, lo dicevamo, sono davvero tante, se si fa un conto delle singole linee di intervento: dei 191,7 di Nex Generation Eu destinati al nostro Paese, i miliardi che vedranno regioni e enti locali (ma anche Asl) come enti attuatori dei progetti vanno da 66 a 71 (tra il 34,7 e il 36,9% del totale).
Quasi tutte le risorse destinate alla missione 5 “Inclusione e Coesione” (politiche attive del lavoro 5,6 miliardi, politiche sociali tra 11 e i 13 miliardi), e missione 6 “Salute” (14,7 sui 15,6 complessivi) andranno gestite dai territori. Ben 18 miliardi dei 60 destinati alla missione 2 “Rivoluzione verde e transizione ecologica” saranno gestiti localmente. Altri investimenti di rilievo riguardano la missione 4 “Istruzione e ricerca”: per gli asili nido 4,6 miliardi in sei anni e 3,9 per la messa in sicurezza degli edifici scolastici.
Soldi tanti, il tempo poco. Come si sa tutto deve essere realizzato entro il 2026: nel il 2022 dovrebbe essere erogato meno del 20% della spesa, mentre nel biennio 24-25 si dovrebbe concentrare circa il 46% dell’esborso. Proprio qui si apre il primo grande problema. Ed è l’Ufficio parlamentare di bilancio a porre con maggior chiarezza il tema. E a sottolineare una preoccupazione. Regioni, Comuni, enti territoriali in generale sono a corto di personale. Non per colpa della cattiva sorte, ma delle scelte compiute negli scorsi decenni che hanno depauperato e ristretto il perimetro pubblico del nostro Paese. Dal 2010 ad oggi, a causa del blocco del turn-over il macro comparto delle funzioni locali, ha subito una perdita di personale di oltre 130 mila unità passando dai 579 mila addetti nel 2010 ai 445 mila del 2019. Tra questi sono compresi lavoratori e lavoratrici con tutti le tipologie di contratto compresi quelli a tempo determinato, in somministrazione ecc. Come fare a attuare bene e in tempo il Pnrr?
La seconda preoccupazione riguarda la ripartizione delle risorse tra le diverse aree del Paese. Una delle ragioni della quantità di miliardi destinata all’Europa sono i grandi divari che – purtroppo – ci caratterizzano, quelli di genere, quelli tra le generazioni e quelli tra Nord e Sud. Obbiettivo fondamentale del Pnrr deve essere, necessariamente deve, ridurre questi divari a cominciare da quello territoriale.
Il 40% della popolazione vive nelle regioni meridionali quindi almeno il 40 % delle risorse deve essere destinato a quei territori. Ma come? Sempre secondo l’Upb, se nell’assegnazione dei bandi si rispetta il criterio del 40% al Sud si rischia di non finanziare tutti i progetti migliori Se invece si sceglie di preferire i progetti migliori il rischio è di non rispettare sempre il criterio del 40%. Bel problema, la cui soluzione è ardua e attiene di nuovo alla quantità e alla qualità degli addetti alla messa a terra del piano. Insomma, oggi si rischia di pagare il prezzo di scellerate politiche neo liberiste che hanno tagliato, tagliato, tagliato, impoverendo le amministrazioni pubbliche a tutti i livelli.
Una delle strade da seguire, allora, è proprio quella del coinvolgimento di tutti al governo del Pnrr e alla sua realizzazione. A cominciare dalle organizzazioni sindacali, come prevede il Protocollo. Ma quante sono le regioni che hanno definito il proprio Protocollo e attivati i singoli tavoli? A che punto è il lavoro di attuazione del Piano? A quanti bandi i singoli territori hanno già partecipato? Questo lo scopo del “viaggio” che intraprendiamo.