I salari vanno sempre peggio: rispetto al periodo pre-crisi, ossia rispetto al gennaio 2021, sono scesi del 10 per cento. È quanto emerge dal Monitor realizzato dall’area studi di Legacoop, in collaborazione con Prometeia, che analizza l’andamento dei prezzi e l’impatto dell’inflazione. E al tracollo degli stipendi a nulla è valso il recupero registrato nel primo trimestre di quest’anno, grazie a una crescita più sostenuta dei salari negoziati.

Lo studio rivela che dall’inizio del 2021 a oggi i salari orari sono cresciuti in media in Italia dell’1,2 per cento, contro il +3,3 dell’area euro. Le cause? “I ritardi nei rinnovi contrattuali, l’assenza di un salario minimo e di meccanismi di indicizzazione”. Il reddito disponibile reale, che tiene conto di tutte le voci di entrata e uscita nel budget familiare, ha avuto una flessione meno forte, grazie alla politica di bilancio, alla tenuta dell'occupazione e ai maggiori redditi da patrimonio e di imprese.

Il commento di Legacoop

“In questi anni il Paese ha mostrato vitalità, ma nonostante tutto e tutti”, spiega il presidente di Legacoop Simone Gamberini: “La pandemia ha notoriamente lasciato strascichi importanti, sul piano economico, sociale, internazionale. Alla luce dei dati odierni, è ancora più apprezzabile la tenuta sostanziale dell’Italia in questo contesto”.

Gamberini evidenzia che “la società italiana, nella sua larga maggioranza, è ancora stretta in una morsa tra, da un lato, il permanere dell'inflazione e degli alti prezzi, dall’altro, l’inconcepibile perdurare, in modo inaccettabile, di un trend salariale più basso degli altri Paesi europei”.

Il presidente di Legacoop così conclude: “È ovvio che il ceto medio si percepisca ‘in declino’ e impotente di fronte a un ascensore sociale bloccato. E la fiducia nel futuro, in particolare dei segmenti della società più dinamici e innovativi, è il nostro primo e unico ingrediente per lo sviluppo”.

L’inflazione galoppa

Dopo il picco registrato nell’ottobre 2022 al culmine della crisi energetica, quando la variazione tendenziale dell’Ipca (ossia l’Indice dei prezzi al consumo) fu del 12,5 per cento (e del 10,6 nell'area euro), il tasso di inflazione in Italia prosegue il proprio sentiero di discesa, collocandosi al di sotto della media dell’eurozona.

La ricerca evidenzia, però, che se la relativa stabilità (quando non una flessione) dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali induce a escluderne un rinfocolarsi, la crisi passata ha lasciato in eredità un livello dei prezzi persistentemente più alto. Rispetto a gennaio 2021, nell’agosto scorso si sono registrati incrementi che variano dai 14 punti percentuali per l’inflazione ‘core’ ai 21 per i beni alimentari non lavorati, addirittura ai 51 punti percentuali per i beni energetici.

I salari al palo

E qui si ritorna alle retribuzioni. Se le imprese, infatti, sono riuscite a difendere i propri margini trasferendo i maggiori costi sui beni finali, i salari hanno invece subìto, in particolare in Italia, una forte erosione del potere d’acquisto. Erosione non ancora recuperata, con una riduzione di quasi il 10 per cento in termini reali rispetto al periodo pre-crisi.

Una conseguenza diretta di una dinamica salariale finora poco sostenuta, con una crescita media dei salari orari (da gennaio 2021) dell’1,2 per cento rispetto al 3,3 nel resto dell'eurozona. Un gap che si registra anche sul piano del reddito disponibile delle famiglie, che in termini reali fatica a recuperare i livelli pre-crisi, ponendo dubbi sulla futura dinamica dei consumi.