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Se le cifre contenute nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanze appena varata dal Parlamento sono vere, e non può che essere così, le risorse destinate al comparto sanità da oggi al 2023 non aumentano. Anzi. Prima di esaminarle vogliamo ricordare che ben prima dell’affacciarsi del coronavirus l’Organizzazione mondiale della sanità affermava che quei Paesi che stanziavano meno del 6,5% del Pil per il comparto mettevano a rischio la salute pubblica.
Ebbene, a leggere le tabelle della Nota di aggiornamento si scopre che nel 2019 eravamo sulla soglia. Infatti, la spesa per la sanità corrispondeva proprio al 6,5% del Prodotto interno lordo italiano, nel 2020 si è attestato al 7,3 e la previsione è che andrà progressivamente riducendosi fino ad arrivare al 6,6% nel 2023. Il rischio che si corre è che con la legge di Bilancio 2021 non solo non si stabilizzino le risorse stanziate nel 2020, ma addirittura si riducano. Tutto ciò a legislazione invariata.
Ma come, si dirà, più volte il ministro Speranza, sia in audizione al Senato sia confrontandosi con il segretario generale della Cgil sabato scorso, ha ripetuto che è terminata l’epoca dei tagli ed è cominciata l’era degli investimenti. E allora? E allora è possibile che il governo italiano consideri che, oltre alle risorse stanziate per la sanità sia con la legge di Bilancio dello scorso anno sia con le manovre straordinarie del 2020 (ricordiamo complessivamente che ammontano a 100 miliardi), è nei fondi stanziati dall’Europa che dovranno trovarsi i miliardi per mettere in sicurezza il Ssn e rinnovarlo, da quelli del Recovery fund – meglio chiamarlo con il suo nome, Next Generation Eu – e del Mes (37 miliardi, tanti quanti quelli tagliati alla sanità negli ultimi dieci anni).
Già con la prossima legge di Bilancio, suggeriscono dalla Cgil, qualcosa si potrebbe e forse dovrebbe fare: assumere personale, medici, infermieri e infermiere, tecnici di laboratorio, e quanti delle professioni sanitarie oggi sono indispensabili a garantire il diritto alla salute già precario, visti appunto i tagli del passato, e oggi messo seriamente in discussione dall’emergenza e dalla pressione sul Servizio sanitario nazionale causato dal Coronavirus.