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Pubblicità ingannevole: è quella che induce “in errore le persone alle quali è rivolta e che leda un concorrente”, scrive il dizionario Treccani, ed è quella fatta dal vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini – diciamo noi –, quando annunciava che il governo approvava un “prelievo sugli ‘extraprofitti’ delle banche”, come “misura di equità sociale”, che le entrate sarebbero state un “aiuto per i mutui delle prime case, sottoscritti in tempi diversi rispetto agli attuali, e il taglio delle tasse”.
Le norme in materia, varate lo scorso agosto e valide solamente per il 2023, non hanno avuto alcun effetto vantaggioso per i cittadini italiani, ma intanto l’effetto propaganda da parte di un membro del governo c’è stato, perché è facile fare leva sull’antipatia generalizzata per le banche e cogliere un immeritato favore.
Il settore bancario ha incrementato gli extraprofitti e, anziché pagare la tassa propagandata, ha accresciuto la capitalizzazione degli istituti, che a sua volta ha giocato a favore del suddetto incremento. “Il tutto è dipeso in gran parte dall’innalzamento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale europea – ci spiega Cristian Perniciano, economista che si occupa di politiche fiscali per la Cgil nazionale -. A influire sono state le condizioni di politica monetaria, con le misure della Bce contro l’inflazione che sono andate a favore delle banche aumentando i loro margini di interesse”.
Poi è arrivato il provvedimento della scorsa estate, che ha cavalcato l’effetto descritto e ha permesso a Salvini di fare affermazioni che mettevano d’accordo tutti. Dal canto suo la Cgil aveva proposto di “tassare in modo strutturale gli extraprofitti su tutti i settori con un’imposta che analizzi l’andamento dei vari settori per capire dove vi sono accumuli o vantaggi non meritati, come accaduto per il settore energetico con la borsa di Amsterdam o per le banche”, dichiara Perniciano ricordando che “ci sono anche i profitti meritati, come gli investimenti innovativi che danno vantaggi al singolo settore. L’aumento dei tassi è invece piovuto addosso alle banche, senza alcun particolare merito”.
“Le norme del governo prevedevano inizialmente una tassazione del 40% sui margini di interesse laddove eccedono del 10% e, in questi termini, il provvedimento sembrava sensato. Poi il governo ha deciso che, anziché pagare questa imposta, le banche avevano la possibilità di destinare 2 volte e mezzo l’importo dell’imposta così calcolata a una riserva non distribuibile, che capitalizza e rende più forte la banca singola e in genere il sistema bancario. Poi ci sono i limiti: come da norma, le somme destinate a riserva non sono distribuibili ai soci, ma fanno incrementare il valore azionario con un beneficio patrimoniale per chi le azioni le detiene. Abbiamo visto come i due principali gruppi bancari hanno scelto questa possibilità e come tutto il sistema bancario si sia comportato allo stesso modo, ma è la legge ad averlo permesso”.
Perniciano ci dice però che c’è stato chi ha analizzato i bilanci bancari scoprendo che in realtà “molti istituiti avevano già precedentemente deciso di aumentare la loro capitalizzazione, che sembrerebbe una registrazione di quanto era già stato previsto, più che il frutto di un incentivo dato dalla legge. Il governo ha quindi voluto dichiarare di colpire le odiate banche, mentre invece non solo ha fatto quanto desideravano, ma ha sostenuto con un provvedimento quanto era già in corso”.
E i vantaggi per gli utenti? “Non ci sono automatismi – ci fa sapere Perniciano -. Se un vantaggio vogliamo vedere è di avere una banca più forte, ma non ci sono riduzioni di costi sui conti correnti, non servizi aggiuntivi gratuiti, né vantaggi di alcun genere”.