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Le ragioni dello sciopero, primo appuntamento il prossimo 17 novembre, sono scritte nella legge di bilancio. Per il segretario nazionale della Cgil Christian Ferrari è regressiva e ingiusta. Servono politiche salariali e sociali. Serve soprattutto una diversa politica fiscale, che deve cominciare da una seria lotta all’evasione.
Il Fondo monetario internazionale ha appena lanciato l'allarme sulla manovra dell'Italia, sostenendo che quella all’attenzione del Parlamento sia una manovra che non ha nulla per lo sviluppo. Condividi questa critica?
Condivido pienamente la critica, non condivido le conclusioni che trae il Fondo quando propone una maggiore austerità. Quella ricetta comprometterebbe ancor di più la possibilità di attuare politiche per lo sviluppo e la crescita. Siamo in presenza di una finanziaria che fa molti danni. Ma la cosa più grave è che darà un contributo pressoché nullo alla crescita e allo sviluppo del Paese. Questo è un punto di fondo. L’abbiamo detto anche nel corso delle audizioni, ed è lo stesso governo a sostenerlo visto che hanno scritto che l’impatto della manovra sarà pari allo 0,2% del Pil. Questo è un governo che ammette la sua totale impotenza, illudendosi che la soluzione sia delegare tutto al libero mercato e alle imprese.
In realtà proprio Bonomi di Confindustria ha affermato che cinque miliardi sono troppo pochi.
Sembra l'ennesima richiesta di soldi pubblici a pioggia attraverso gli incentivi. La critica è giusta, la soluzione proposta è la solita vecchia ricetta che conosciamo da anni. Dopo gli oltre 200 miliardi che dal 2015 al 2023 sono stati distribuiti al sistema delle imprese attraverso decontribuzioni, detassazioni, incentivi automatici e così via – che non mi pare abbiano prodotto grandi ritorni in termini di qualità del lavoro, di investimenti, di innovazione – si torna sempre a battere cassa.
Che dovrebbero fare le imprese?
Il sistema delle imprese, oltre a chiedere soldi a spese dei contribuenti, dovrebbe anzitutto iniziare a valutare il contributo che sta dando alla collettività. In realtà, questa richiesta è perfettamente speculare all'impostazione politica del governo, per il quale l'unica politica per lo sviluppo è delegare alle imprese le politiche industriali, attribuendo trasferimenti di risorse pubbliche in termini generali e automatici. Noi non condividiamo quest’impostazione.
Cosa propone, invece, il sindacato?
Per rilanciare lo sviluppo occorre, prima di tutto, sostenere la domanda interna. Per la prima volta dopo tanto tempo sta calando l'export, che per tanto tempo è stato il motore, per quanto contraddittorio, del nostro sistema economico. Da un anno assistiamo a un calo preoccupante della produzione industriale. Iniziano a esserci problemi rilevanti in quella parte di apparato industriale più legato alle filiere tedesche e del Centro Europa, e comincia ad aumentare la richiesta di cassa integrazione. Quindi, la vera leva e anche il grande potenziale inespresso dell'economia italiana è proprio il rilancio della domanda interna.
Cosa fare per realizzare questo rilancio?
Innanzitutto è necessario affrontare la questione salariale, che non è soltanto una questione di giustizia sociale e di sacrosanto diritto dei lavoratori di non impoverirsi. È anche una misura che rilancia l'economia del Paese. E poi occorre trattare la questione del Mezzogiorno: il Sud è l'area più critica, ma anche il potenziale maggiore del nostro Paese. Da questo punto di vista il governo non solo non sta facendo nulla, ma addirittura sta facendo danni, basti pensare all'autonomia differenziata, ai tagli al Pnrr, alle politiche sociali regressive. Con tutto quello che è stato messo in fila quest'anno non solo si rischia di abbandonare il Meridione al proprio destino, ma di privare l'intero sistema-paese di una leva formidabile per cercare di reggere una fase molto complicata.
La manovra è stata scritta con una previsione di crescita per il 2024 pari all’1,2%. Il Fondo monetario, l'Ocse e anche gli istituti di ricerca italiani, a cominciare dall'Istat, dicono che se avremo lo 0,7 saremo fortunati. Questo, dal punto di vista dei conti pubblici, cosa significa?
Significa che l'equilibrio su cui si regge questa finanziaria non reggerà alla prova della realtà dei prossimi mesi. Il che vorrà dire che, da un lato, non saremo nelle condizioni di affrontare un ciclo economico molto più avverso di quanto il governo prevedesse, dall'altro, che questo avrà delle ricadute anche in termini di equilibri di finanza pubblica. In realtà stiamo assistendo a un tentativo di gonfiare deliberatamente le previsioni economiche per cercare di ricavarsi dei maggiori margini di manovra che non si vogliono costruire attraverso politiche reali. Faccio un esempio, questa narrazione che ci sono poche risorse e tutte quelle possibili sono state concentrate sui lavoratori e sui ceti popolari non corrisponde alla realtà. La verità è che oltre a non affrontare la questione salariale, non si rilanciano politiche pubbliche e nemmeno politiche industriali per il semplice fatto che non vogliono andare a prendere le risorse dove sono.
Parliamo di fisco. Nulla o quasi per lavoratori e pensionati, nessuna lotta all’evasione, anzi, sconti fiscali per chi ha molto. Nessuna patrimoniale né aumento della tassazione su ciò che non è reddito da lavoro…
È esattamente così, questo è anche il punto centrale. Un'altra politica economica, diversa e radicalmente alternativa rispetto a quella del governo, è invece possibile, andando a prendere le risorse dove sono e agendo sulla leva redistributiva del fisco. La prima cosa fare è una lotta serrata all’evasione fiscale di massa: è la vera grande zavorra del Paese, ogni anno ci priva di qualcosa come mezzo Pnrr, tra i 90 e i 100 miliardi. Non è più sostenibile un atteggiamento come quello della premier che continua a fare battute francamente insopportabili. E siamo al paradosso che proprio nei documenti allegati alla finanziaria e nella Nadef è lo stesso governo a scrivere che nei settori del lavoro autonomo, delle piccole imprese, delle partite Iva benestanti, c’è un tax gap, cioè una propensione all'evasione, del 70%. Questo è un dato oggettivo inconfutabile, e non recuperando quelle risorse il governo taglia sanità, scuola, politiche sociali e per lo sviluppo. Per di più non riescono a tassare nemmeno gli extraprofitti, non solo delle banche, ma di quanti hanno alzato prezzi e tariffe ben oltre l’aumento dei costi, scatenando un’inflazione da profitti che pagano le famiglie.
Nulla è previsto, inoltre, per sostenere quanti non arrivano a fine mese.
Nulla appunto. E c’è di più: il governo è il primo datore di lavoro del Paese, ma nella manovra le risorse per il rinnovo dei contratti sono assolutamente insufficienti anche solo al recupero dell’inflazione, visto che l’esecutivo stanzia risorse per un aumento di poco più del 5% mentre l’Istat afferma che l’indice Ipca si attesta oltre il 16%. È proprio nel delta tra queste due cifre che sta l’impoverimento del Paese: lo Stato dovrebbe dare il buon esempio, ma se quello è l’aumento contrattuale previsto per i lavoratori pubblici, perché i privati dovrebbero fare di più? E così ci sono dieci milioni di lavoratori e lavoratrici in attesa di rinnovo del contratto, il cui potere di acquisto continua a diminuire. Non è così che si fa giustizia sociale e nemmeno sviluppo economico.
E allora sciopero e piazze...
Sì, a cominciare dal prossimo 17 novembre. Le nostre ragioni della mobilitazione sono più che fondate: dal fisco alle pensioni, altro capitolo clamoroso di questa legge di bilancio, alla questione salariale. È importantissimo scioperare, è importantissimo sostenere questa piattaforma che abbiamo tutta l'intenzione di portare avanti nelle prossime settimane e nei prossimi mesi perché il nostro obiettivo è ottenere risultati concreti sul piano del fisco, dei salari, dei contratti, delle pensioni, del welfare pubblico, a partire da sanità e scuola.