In tv e sui giornali Meloni e Giorgetti, assistiti da un coro a più voci di ministri, sottosegretari e parlamentari di maggioranza, ripetono quasi ossessivamente che con le risorse disponibili per la manovra non si poteva far altro sul fronte del welfare, della sanità, della scuola e delle politiche industriali. Falso, per evitare di tagliare basta andare a prendere i soldi lì dove sono, e sono tanti.

Redistribuire la ricchezza prodotta dal Paese

Aumentare o abbassare le tasse, detta così è solo slogan. La Costituzione italiana, non solo legge fondamentale del Paese, ma vero e proprio patto democratico su cui si basa la convivenza, afferma che il fisco deve essere progressivo e che ciascuno deve contribuire proporzionalmente alle proprie possibilità. Questo significa che chi più ha proporzionalmente più deve pagare. Non è più così. Non solo, se si dà un occhio a chi le tasse le paga, si scopre che per la maggior parte sono i lavoratori e le lavoratrici dipendenti, i pensionati e le pensionate che, caso unico in Europa, pur avendo versato al fisco lungo l’intero arco della propria vita lavorativa, sono sottoposti all’imposizione fiscale pur essendo in quiescenza.

Chi paga le tasse

Oltre il 90% dell’Irpef è versata dai dipendenti e dai pensionati, ed è prevalentemente con l’Irpef che si finanziano la sanità e il welfare, di cui però beneficiano anche quanti non versano. Ancora: i 190 miliardi di questa tassa raccolta nel 2023 si scopre che sono versati da poco più del 54% dei contribuenti perché ben il 45,16% non presenta proprio la dichiarazione dei redditi. Questi sono alcuni dati della IX Indagine sulle entrate fiscali dell’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate fiscali redatto da Itinerari previdenziali.

Dall’Indagine si evince che sono 9,5 milioni i contribuenti che dichiarano redditi tra i 20 e i 29 milioni l’anno, 22,3 milioni sono sotto i 20 milioni, mentre il 15,26% dei contribuenti italiana dichiara redditi superiori ai 35 mila euro all’anno ma versa il 63,39 dell’Irpef. Per di più, si sa, l’Irpef è l’’unica imposta a essere realmente progressiva, benché con la costante diminuzione delle aliquote anche questa progressività si riduce.

I numeri della vergogna

Li ha ricordati il segretario generale Cgil Maurizio Landini in una recentissima intervista a Repubblica: sono 17 i miliardi di maggior entrate di Irpef, ma il 90% dell’Irpef la pagano lavoratori e lavoratrici dipendenti e pensionati. E quindi per loro le tasse sono aumentate. D’altra parte, se a parità di gettito i dipendenti versano il 43%, gli autonomi il 15 grazie alla flat tax e i profitti il 24%, ecco che vergogna è fatta. E per di più, dopo ben 20 condoni in due anni, il governo si appresta a riaprire i termini del concordato fiscale che altro non è che l’ennesimo favore agli evasori. E questo anno sono oltre 80 i miliardi sottratti al fisco.

La bugia delle bugie

È sempre Meloni ad averla pronunciata quando ha affermato che avrebbe fatto pagare chi ha tanto guadagnato in questi anni, ma tanto davvero. E poi ci ha pensato anche il ministro dell’Economia Giorgetti a dire che nel 2025 avrebbe fatto sacrifici chi poteva permetterselo. Falso anche questo. Perché gli extra profitti di aziende energetiche e farmaceutiche o di quanti altri si sono arricchiti non vengono affatto toccati. E nemmeno quelli delle banche, visto che a loro è stato chiesto “un prestito” che fra due anni dovrà essere restituito.

Cosa pagano le tasse

La sanità, l’assistenza e il welfare degli enti locali, e ne usufruiscono anche quelli che le tasse non le pagano. Secondo Itinerari previdenziali nel 2023 il gettito da Irpef ammontava a 190 miliardi, quello da Ires a 51.750, mentre la spesa sociale è stata di 304 miliardi. Ma la tassa che pagano dipendenti e pensionati ha un’aliquota al 43%, mentre l’Ires, cioè la tassazione sugli utili di impresa, al 24%.

Trovare le risorse si può

Per non tagliare oltre 5 mila insegnanti e 3 mila tra personale amministrativo e Ata, per non lasciare morire il servizio sanitario pubblico a favore dei privati, per svuotare di risorse gli enti locali rendendo loro quasi impossibile erogare servizi come gli asili nido e l’assistenza ai più fragili, basta andare a prendere i soldi dove sono: extra profitti e profitti (decine e decine di miliardi), rendite e ricchezze, grandi patrimoni, evasione fiscale e contributiva (pari a 82,4 miliardi).

Tassare gli extra profitti

Sono anni che se ne parla, ma alle parole non seguono mai i fatti. Da noi. In altri Paesi europei invece sì. In Francia tra il 2025 e il 2026 si attendono ben 12 miliardi dalla tassazione degli extra profitti di aziende e banche che negli ultimi anni si sono arricchite a dismisura. In Spagna hanno deciso di estendere anche al 2025 la tassa sugli arricchimenti fuori misura già prevista lo scorso anno. E in Inghilterra hanno deciso di estendere fino al 2029 la tassazione al 35% degli extra profitti delle aziende energetiche. Quindi si può fare, è solo una questione di scelta e Meloni ha scelto di non farlo.

Tassare i profitti di impresa

Per incassare ben 12 miliardi l’anno in più basterebbe poco davvero, servirebbe tassare i profitti delle imprese un po’ di più rispetto a oggi. Basterebbe portare l’aliquota dal 24 al 29%, assai lontana dal 43% dell’Irpef e il gioco sarebbe fatto. Dodici miliardi sono un po’ meno della metà dell’intero valore della manovra di bilancio che il Parlamento si appresta ad approvare.

A questo si potrebbe aggiungere un ulteriore tesoretto frutto di una tassazione più equa dei dividendi di azienda che oggi sono tassati al 26% e fruttano poco più di cinque miliardi. Se, come sarebbe cosa buona e giusta, fossero tassati al 43%, il gettito aumenterebbe di ben 3,3 miliardi. A dircelo è il Centro studi Eures analizzando i dati Istat. E come sono aumentati i profitti in maniera fuori dal consueto per alcune imprese, così solo nel secondo trimestre 2024 i dividendi hanno fatto un balzo in avanti di oltre il 24% rispetto ai tre mesi precedenti.

Tassare la successione

Gli altri lo fanno, noi facciamo finta. La tassa di successione italiana è bassissima, così la volle Berlusconi e sarebbe da chiedersi perché. Da noi costa lo 0,05% e frutta poco più di 1 miliardo l’anno, se ci allineassimo alla Germania portandola allo 0,27 incasseremmo 5.323 miliardi. Se preferissimo la Spagna saliremmo a 0,28% e frutterebbe 5.657, ma se volessimo somigliare ai nostri cugini francesi arriveremmo a incassare 14.801 miliardi con un’aliquota dello 0,74%. E se a questo volessimo aggiungere una misura che in Francia esiste da un po’ e non crea affatto scandalo e nemmeno la fuga di capitali all’estero, le cose potrebbero ulteriormente migliorare: basterebbe tassare al 2% i patrimoni oltre il miliardo di euro. Oltralpe lo fanno, da noi non se ne può nemmeno parlare.
E torniamo al punto. Le risorse per non tagliare sanità e welfare ci sono, basta andare a prendere i soldi dove sono. Basta un fisco più equo, progressivo e rispettoso della Costituzione e una seria lotta all’evasione. Ma Meloni e il suo governo hanno scelto di tagliare e favorire i privati.

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