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Tanto si è parlato, e ancora c’è chi insiste nel proporlo e quasi rivendicarlo, di togliere o abbassare l’Iva su alcuni generi alimentari di uso quasi quotidiano per rispondere all’emergenza sociale. La Cgil negli incontri che si sono tenuti a Palazzo Chigi in preparazione del decreto Aiuti bis, ha sostenuto con fermezza, ma anche con dovizia di argomentazione, la propria contrarietà a questa ipotesi.
Ma come, si dirà, un provvedimento che potrebbe ridurre lo scontrino della spesa per famiglie e cittadini vede la contrarietà della Confederazione? Quando si parla di possibili “sconti” occorre saper fare di conto e dire la verità. Occorre saper valutare i costi, i risparmi e i beneficiari. Solo così si capirà se quanto proposto è davvero un vantaggio economico e per chi.
L’Iva su latte, latticini e formaggi, su frutta e verdura, frumento e farine è al 4%. Quella su carne e pesce è al 10%. Se si esaminano i dati Istat sulla spesa delle famiglie si scopre che nel 2022 una famiglia media, per la spesa mensile, spende circa 9 euro in più rispetto ad un anno fa per l’acquisto di pane e cereali, circa 8 euro in più per la carne, 6 euro per latte e latticini, circa 4 auro in più per la frutta e 7 per la verdura. Se si eliminasse l’Iva il risparmio per quella stessa famiglia sarebbe: 3,32 su cereali e pane, 4,92 sulla carne, 2,55 su latte e formaggi, 1,78 sulla frutta e 2,75 sulla verdura. Come si vede risparmio davvero contenuto, di cui però beneficerebbero sia le famiglie a basso e medio reddito che quelle con redditi alti e altissimi. Non solo: poco risparmio per le famiglie ma mancato gettito consistente per le casse dello Stato. Quelle casse che devono provvedere però, alla sanità, all’istruzione eccetera. Ecco svelata la contrarietà della Cgil.
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Così come non va bene il decreto Aiuti bis. Non tanto per le misure individuate, anzi l’idea di passare dal bonus una tantum a uno strumento strutturale è certamente positivo, ma l’ammontare delle risorse è del tutto insufficiente: 2 miliari e mezzo sui 17 del provvedimento. Anche in questo caso a parlare sono i numeri: un pensionato con assegno di 500 euro mensili, riceverà 42 euro lordi da ottobre a dicembre; l’assegno da 1.000 riceverà 84 euro lordi, quello di 1.500 vedrà un aumento di 126 euro. Ai lavoratori e alle lavoratrici non va meglio: chi riceve una busta paga di 660 euro avrà un beneficio mensile di 7,96 euro; a busta paga di 1.065 euro corrisponde aumento di 12,78; a busta paga di 1.497 euro aumento di 17,96 euro; chi guadagna 1.909 beneficerà di 22,90 euro in più. Ovviamente solo da luglio a dicembre. Insomma, il taglio del cuneo fiscale per i mesi di copertura del decreto ammonta a meno dei 200 auro ricevuti dagli stessi lavoratori e lavoratrici come una tantum a luglio.
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“Continuiamo a ritenere inadeguate le risorse per rispondere all’aumento del costo della vita, previste nel decreto Aiuti bis – commenta Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Confederazione -. In sede di conversione del decreto occorre aumentare queste risorse, attraverso sia il recupero del mancato gettito degli extraprofitti non versate dalle imprese, che aumentandolo almeno fino al 50%. Il decreto verrà convertito nel bel mezzo della campagna elettorale: sarà l’occasione per passare dalle parole ai fatti”.
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