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“Più industria, meno Confindustria”. È stato questo uno dei cavalli di battaglia che ha portato Carlo Bonomi, con una sorta di plebiscito, sulla poltrona della maggiore organizzazione degli imprenditori italiani. Ma è uno slogan che rischia ora di diventare un boomerang in questo periodo di rinnovi contrattuali. La lettera che il presidente ha inviato a tutte le associazioni confederate non ha avuto infatti quel consenso generalizzato che si era riscontrato al momento dell’elezione. Ci sono Confindustrie locali e regionali che non condividono la posizione di chiusura su alcuni rinnovi contrattuali e ci sono grandi gruppi industriali, in particolare nei settori più esposti alla concorrenza internazionale che non hanno nessuna intenzione di andare allo scontro con i sindacati in un momento in cui serve il massimo dello sforzo per riavviare la ripresa. Si accusa insomma Bonomi di aver rovesciato il suo stesso messaggio: più Confindustria, meno industria. Ma andiamo con ordine con un breve (parziale) excursus per settori.
Alimentaristi
In un articolo di Marco Patucchi su Repubblica (“Contratti, si allunga la lista dei dissidenti in Confindustria”, 10 settembre) si parlava di grandi gruppi che hanno deciso di comunicare ai sindacati la loro adesione al rinnovo contrattuale che è stato siglato a fine luglio, ma che era stato respinto da una parte delle associazioni del settore. I nomi di quelli che aderiscono al contratto sono importanti: Campari, Fontanafredda, Citterio, Hag Splendid, gruppo De Cecco, Acqua Sant’Anna. A questi big dell’industria alimentare si stanno aggiungendo altri nomi che pare non abbiamo apprezzato le parole forti del presidente Bonomi a proposito del superamento del modello contrattuale e le chiusure sugli aumenti contrattuali. E anche in questo caso si tratta di gruppi che gareggiano sulla pista della concorrenza internazionale: Ferrero, Danone, Lavazza. I “dissidenti” criticano la deriva ideologica della presidenza di Viale dell’Astronomia. Soprattutto c’è preoccupazione per una ripresa della conflittualità che non giova alla ripartenza. Una parte delle aziende e delle associazioni di settore non hanno neppure apprezzato troppo l’entrata a gamba tesa di Confindustria al tavolo per il contratto, perché dopo che il 31 luglio era stato siglato nella notte il rinnovo del contratto nazionale dell’industria alimentare 2019-2023 tra Fai Cisl, Flai Cgil, Uila Uil e Unionfood, Ancit e AssoBirra, altre dieci associazioni, tra cui Federalimentare e Assocarni, si sono sfilate. Ora però i sindacati nazionali di categoria rivendicano l’accordo del 31 luglio come il vero e unico contratto e stanno invitando le aziende e i grandi gruppi a firmare. Dalla parte del contratto ci sono quindi gruppi che pesano come quelli che aderiscono a Unionfood che rappresenta in pratica il 90% delle multinazionali dell’alimentare.
Chimici, plastica, moda
Il settore rappresentato dalla Filctem è vasto e vario: 22 contratti nazionale che vanno dalla chimica, all’energia, passando per la gomma plastica, il tessile, le concerie e la moda. In questi comparti la lettera di Bonomi e le sue dichiarazioni bellicose alla stampa non hanno una grande presa per due semplici motivi: molti contratti sono stati già firmati e perché per quelli da firmare c’è un atteggiamento critico di altre associazioni. Firmati sono già i contratti della chimica, dell’energia, delle miniere e del vetro, mentre è ancora aperta la discussione per il rinnovo del contratto dei lavoratori della gomma-plastica. Aperti anche i contratti più piccoli della concia e delle lavanderie industriali. In tutti questi settori le aziende non nascondono la volontà di fare accordi con i sindacati. L’unica associazione che pare seguire le direttive di Confindustria è quella del sistema Moda.
Legno e costruzioni
Un settore molto importante è quello del legno con i suoi 250 mila addetti e il 2,8% dl Pil. In questo settore per il quale i sindacati hanno presentato una piattaforma unitaria la Confindustria ha voluto rompere proprio sul rinnovo contrattuale. Dopo l’interruzione della pandemia il negoziato si sarebbe dovuto riattivare anche alla luce delle ottime performance legate alla ripartenza. La falegnameria è ripresa alla grande. Un dato per tutti dalla produzione sulle 15/20 mila unità di materiali scolastici (in particolare banchi) si è passati a un milione di pezzi richiesti per la riapertura della scuole. Nonostante la ripresa dei contatti con i sindacati l’associazione di settore guidata da un uomo molto vicino a Bonomi, Emanuele Orsini, si ostina sulle posizioni di chiusura. La Fillea e gli altri sindacati di categoria hanno quindi convocato le il 24 e 25 settembre prossimi il Coordinamento nazionale che in assenza di novità deciderà un’altra giornata di sciopero.
Metalmeccanici
Arriviamo alla cronaca di queste ore. Nella storia delle relazioni industriali italiane l’associazione di categoria, la Federmeccanica, è sempre stata l’osso duro della contrattazione. Lo scontro, anche ai tempi della Fiat che faceva parte di Confindustria, è passato sempre per le fabbriche metalmeccaniche. In questo periodo però le carte potrebbero cambiare. I sindacati dei metalmeccanici hanno presentato una piattaforma che non è mai stata finora messa in discussione dagli imprenditori. Oggi inizia il confronto con Fim, Fiom e Uilm e sicuramente anche per i metalmeccanici il vero banco di prova sarà il salario. Le richieste dei sindacati non sono minimaliste. Il banco di prova del negoziato non sarà importante quindi solo ai fini contrattuali interni. Sarà un altro segnale alla Confindustria di Bonomi.
Tlc, grafici e cartai
Altri settori industriali molto importanti, anche se diversi tra loro, sono quelli delle Telecomunicazioni, dei grafici e dei cartai. Le trattative per i contratti già scaduti erano cominciate prima del lockdown. Poi, come per gli altri settori, si è fermato tutto. Ma non si sono allentati i rapporti tra le associazioni industriali dei tre settori e i sindacati. L’impegno era quello di riaprire i tavoli dopo l’estate. Poi è arrivata la lettera del presidente Bonomi alle associazioni. I sindacati hanno quindi chiesto alla controparte se quella lettera sarebbe stata interpretata come il blocco della contrattazione. La risposta – naturalmente informale – è stata chiara: no, si va avanti.
Ma perché Bonomi dovrebbe volere lo scontro?
Oltre alle ragioni interne alla contrattazione comincia a circolare tra gli industriali anche una domanda sul perché il presidente abbia scelto una linea di scontro con i sindacati e di polemica dura con il governo. In vista dell’Assemblea nazionale di fine mese, appuntamento annuale importante per Confindustria le ipotesi che circolano si basano sulla necessità di Confindustria di accreditarsi come un interlocutore politico e prenotarsi un posto ai tavoli che discuteranno dell’utilizzo dei fondi europei del Recovery Fund. Ma su questo piano politico il presidente (che per alcuni è mal consigliato) rischia lo scivolone perché passando dal Patto per la Fabbrica al Patto per l’Italia attaccando tutti i possibili interlocutori del Patto stesso non sembra scegliere la migliore mossa possibile. E non sono pochi a suggerire, dopo l’incontro complicato con i sindacati della scorsa settimana (7 settembre), una nuova impostazione. C’è poi un’altra grande incognita. Come si comporteranno, sempre sul fronte dei contratti e delle relazioni industriali, gli altri soggetti importanti della rappresentanza: Confcommercio, Confapi, associazioni degli artigiani, Cooperazione? L’unica cosa certa è che stanno guardando tutti all’irripetibile occasione del Recovery Fund.