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Malpensa è un deserto. Difficile figurarselo così uno degli aeroporti più trafficati del Paese. Eppure lo scalo milanese, in realtà in provincia di Varese, è uno dei grandi malati in questa era di contagi, anche se nessuno ne ha parlato finora. Il merito di aver acceso i riflettori e di aver consegnato al dibattito pubblico questa crisi nella crisi – la caduta libera di uno dei principali aeroporti italiani nel contesto di una paralisi generale che ha colpito il settore – è della Cgil di Varese che, non più tardi di una settimana fa, ha messo insieme in una discussione pubblica online sindacalisti ed esperti per mostrare il baratro di fronte al quale si trova un luogo di lavoro le cui sorti, è stato calcolato, impattano su migliaia di posti di lavoro. E non facciamo fatica a crederlo.
I dati ce li comunica Pino Pizzo, componente della segreteria della Cgil Varese e responsabile, tra l’altro, della Camera del Lavoro che poco tempo fa proprio la Cgil di Varese ha inaugurato all’interno dello scalo. “Malpensa cuba 35,1 miliardi di euro come valore della produzione, è questa la cifra che potremmo considerare come una sorta di pil dell’aeroporto. Nello scalo vengono movimentate 558mila tonnellate di merci, in pratica il 50 per cento di tutte le merci spedite per via aerea dall’Italia, secondo i dati dell’Università Bocconi”.
Andiamo per ordine. Quando si parla di Malpensa, ci sono i due lati della medaglia. Trasporto merci e trasporto passeggeri. Il primo, anche in era covid, ha sostanzialmente tenuto. Il secondo, che è la principale fonte di lavoro, è precipitato. Se pensiamo che a decollare o atterrare nello scalo, nel 2018, sono state 24,6 milioni di persone e, nel 2019, oltre 25 milioni, riusciamo ad avere un’idea di quanto sia drammatico il dato che attesta, nel 2020, una diminuzione del 75 per cento dei passeggeri. “Un buco enorme, che si spiega con le limitazioni imposte per legge agli spostamenti e con la paura del contagio che ha determinato le scelte individuali di rinunciare a viaggiare – ci spiega Stefania Filetti, segretaria generale della Cgil di Varese –. Per la parte cargo, in confronto, la flessione è stata minima, un 10-15 per cento. Ma la parte del traffico merci, da sola, non riesce a mantenere la forza lavoro impiegata prima della pandemia in un hub di queste dimensioni”.
Il risultato, tradotto in numeri, fa tremare le vene ai polsi: calcolando anche l’indotto, i posti a rischio sono 45mila, considerando anche Linate, l’altro aeroporto milanese, anch’esso gestito da Sea, la società di cui è socio di maggioranza proprio il Comune del capoluogo lombardo. La mappa dei posti a rischio ce la disegna Pino Pizzo. “Parliamo di personale che gestisce l’handling, la movimentazione bagagli, e i servizi vari. Poi c’è tutto l’aspetto legato al commercio, ai negozi, alla ristorazione, alla security, alle pulizie e agli alberghi. Lavoratori che hanno tipi diversi di contratto, dalla logistica al commercio al multiservizi al trasporto aereo. Tantissimi precari, somministrati. Difficilissimo disegnare una cartina dettagliata della situazione. Adesso il 50 per cento di questi lavoratori è in cassa, tra cui almeno un terzo dei dipendenti Sea che sono il 10 per cento di tutti gli addetti. Malpensa, se parliamo di lavoro, è un microcosmo. Lì dentro c’è davvero di tutto e spesso ai contratti non sono applicati correttamente. Si ricorre in maniera impressionante al lavoro a termine e in somministrazione e chi era assunto in quella forma è stato tra i primi ad essere penalizzato. E poi ci sono tutti i contratti del terziario e dei servizi, che la Sea mette in concessione”.
Complicatissimo capire come uscire dalla crisi di un luogo complesso e nel quale, è quasi certo ormai, il rischio è che la situazione non tornerà mai più come prima. “Gli esperti parlano di una ripresa in vista nel 2024, ma in realtà l’aeroporto cambierà tantissimo – ci dice Stefania Filetti –. E molti altri posti di lavoro scompariranno per la digitalizzazione e l’innovazione spinta alla quale punta Sea, un orizzonte agevolato dalla crisi pandemica e dall’esigenza di sicurezza sanitaria che punta a ridurre il contatto fisico per quanto possibile. A questa prospettiva si aggiunga che neanche le misure a breve termine ci aiuteranno. Perché i soldi del Recovery fund non saranno destinati agli aeroporti, in quanto strutture inquinanti, con trasporti a impatto ambientale negativo altissimo. Quindi la soluzione è agire sulle infrastrutture, portando a Malpensa le merci su rotaia e non, come avviene adesso, su gomma. E implementare la ricerca di nuovi propellenti o motori che abbattano l’inquinamento”.
Cieli neri su Malpensa. Prima che lo scalo torni a decollare passerà del tempo. Le risposte immediate sono gli ammortizzatori sociali che proseguiranno anche nel corso del 2021. La sfida è quella di promuovere politiche attive mirate. “Altrimenti – ci dice Stefania Filetti – sarà difficile parlare di ricollocazione. Persino in un territorio ricco come il nostro, un crollo come quello che ha colpito Malpensa potrebbe diventare irreversibile”.