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Con qualche giorno di ritardo sulla data prevista da Bruxelles, il governo ha presentato il Piano strutturale di bilancio, strumento di nuovo conio figlio delle nuove regole del Patto di stabilità e crescita avallate da questo governo nel Consiglio europeo. Come, ormai, è d’abitudine per Meloni e i suoi ministri l’hanno scritto in totale solitudine, senza alcun confronto né con le altre forze politiche né tanto meno con le parti sociali. Peccato che il Piano sarà in vigore per i prossimi 7 anni, impegnando – quindi – anche chi va a Palazzo Chigi dopo Meloni. Nessun confronto, lo ribadiamo, dimostrando una sicurezza sulla prossima legislatura che rasenta l’arroganza. In ogni caso, la gestione economica e finanziaria di un paese non è cosa solo di chi lo governa, ma di tutti gli attori economici e sociali. Quale spazio allora a sindacati e parti sociali? Un incontro durante il quale il ministro Giorgetti ha illustrato a grandi linee i contenuti del documento e un’audizione parlamentare sul testo finalmente consegnato a Camera e Senato. Null’altro.
Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, è intervenuto giovedì 3 ottobre davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite in seduta congiunta. A lui chiediamo di illustrarci il contenuto del Documento e le valutazioni della Confederazione.
Segretario, ma davvero la direttrice economica e sociale del Paese non riguarda le parti sociali?
Ci riguarda eccome. E non solo ci riguarda quanto scrive il governo italiano nel Psb o nella manovra, ci riguardano anche le decisioni che Meloni e Giorgetti hanno avallato in sede di Consiglio europeo rispetto al Patto di stabilità e crescita, tanto è vero che insieme alla Ces, la Confederazione europea dei sindacati, abbiamo contestato le nuove regole e contrasteremo una nuova stagione di austerità. Sono passati due anni dall’insediamento di questo esecutivo e si conferma la tendenza che abbiamo più volte denunciato e criticato, quella di non ascoltare nessuno, tanto meno le parti sociali. Veniamo convocati soltanto per ricevere informazioni su decisioni già prese: le nostre considerazioni, critiche e richieste al più vengono ascoltate ma fino a ora mai tenute in considerazione. Anche in questo caso, nonostante stiamo parlando di un Piano che indica – in maniera vincolante e pressoché irreversibile – la traiettoria delle politiche economiche per un arco temporale che va ben al di là dell'attuale legislatura, il governo ha deciso di procedere in maniera autoreferenziale, limitandosi per l’ennesima volta a una mera comunicazione di orientamenti già assunti.
Veniamo al merito del Piano strutturale di bilancio: cosa proprio non vi convince?
Austerità. Questo il segno distintivo del Piano che si traduce in tagli alla spesa pubblica. Il governo si è impegnato in una correzione di bilancio di 13 miliardi l’anno per 7 anni. Come farlo? Nonostante quanto dichiarato dal ministro Giorgetti, peraltro subito smentito dalla sua maggioranza, nel Documento è scritto nero su bianco che la strategia non sarà andare a recuperare quei soldi dove ci sono, azionando la leva redistributiva del fisco su profitti, extraprofitti, grandi ricchezze, rendite, lotta all'evasione, e una vera progressività ed equità fiscale, come imporrebbe la Costituzione. No, la scelta è quella dei tagli... Su cosa? Sanità, istruzione, previdenza, destinando scarsissime risorse per i contratti collettivi del settore pubblico e per gli investimenti pubblici. D’altra parte, questo è il governo che ha tra i suoi obiettivi prioritari la riduzione del perimetro pubblico e le privatizzazioni, che persegue non solo vendendo i gioielli di famiglia come Poste, ma favorendo dinamiche di mercato anche nella sanità e nell’istruzione. È questo lo spirito di fondo anche dell’autonomia differenziata.
Insomma a pagare il costo dell’austerità saranno sempre i soliti...
Esattamente. La riduzione dei servizi si scaricherà su lavoratrici, lavoratori, pensionate e pensionati che, dopo aver subito un brutale impoverimento a causa di un'inflazione da profitti (lasciata sostanzialmente libera di consumarsi a loro danno), continueranno a essere colpiti anche attraverso gli ulteriori tagli ad un welfare sempre meno pubblico e universalistico, in quello che un tempo si definiva “salario indiretto o sociale”.
Dove finisce l’equità fiscale e la progressione del prelievo e la redistribuzione della ricchezza prodotta dal Paese attraverso il lavoro, così come previsto sempre dalla Costituzione?
La coerenza con la Carta non è una prerogativa delle scelte di questo esecutivo: a partire da tutti quegli strumenti che si continuano ad escogitare per consentire a chi non vive di salario o di pensione di evitare di pagare il dovuto al fisco. Un esempio per tutti, da un lato si registrano 9,3 miliardi di maggior gettito Irpef pagati fin qui da lavoratori e pensionati (e che saranno anche di più a fine anno), dall’altro c’è la parabola inaccettabile del concordato preventivo – chiusa con l’ennesimo condono tombale – che rappresenta un vero e proprio insulto ai contribuenti onesti. Noi abbiamo chiesto che quelle maggiori entrate – prelevate attraverso il meccanismo del drenaggio fiscale, e che andrebbero restituite – vengano quanto meno destinate a rifinanziare un servizio sanitario nazionale ormai sull'orlo dell'implosione. Ma non abbiamo ottenuto alcun impegno in tal senso da parte del ministro Giorgetti. Se non prenderanno in considerazione la nostra richiesta, risulterà evidente che la stessa decontribuzione, che pare confermata, altro non sarà che una partita di giro, visto che verrà in gran parte finanziata dalle imposte di chi vive di reddito fisso.
Segretario, uno dei grandi problemi del Paese è la bassa domanda interna sostanzialmente ferma. Aumento dei salari e investimenti pubblici sarebbero gli strumenti per farla ripartire.
Anche su questo il nulla. Sul fronte rinnovi, risorse del tutto insufficienti per quelli del pubblico impiego, per il 2022-2024 è previsto uno stanziamento, assolutamente insufficiente, di risorse corrispondenti a solo un terzo dell'inflazione cumulata nello stesso triennio. E poi hanno deciso di non intervenire né a sostegno dei rinnovi dei contratti collettivi privati, né a contrasto del lavoro povero e precario. Sul fronte riforme e investimenti poi non possiamo che registrare – e non siamo i soli ad esserne preoccupati – il grande ritardo nello spendere le risorse del Pnrr. Consideriamo quanto programmato per gli anni successivi al 2026 non adeguato alle vere priorità del Paese. Infine, consentimi una considerazione: quelle del governo non sono scelte tecniche dettate da ricette obbligate dall’Europa, come si vorrebbe far credere. Sono opzioni politiche dettate da precise scelte di campo. Un campo che non è il nostro, e va contro gli interessi e i bisogni delle persone che rappresentiamo e del Paese.