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Tassi di interesse tenuti giustamente bassi dalle banche centrali europee e nazionali, economia rallentata e per alcuni mesi ferma, mercato interno bloccato dal lockdown rischiano di spingere nuovamente le banche a cercare profitti dalla vendita di prodotti finanziari. E a trasformare i dipendenti in “commercianti”. Successe già dopo la crisi finanziaria del 2008: gli istituti di credito avevano in pancia anche prodotti ad alto rischio se non tossici, ma avevano bisogno di venderli e allora le pressioni su chi era a contatto con i clienti divennero davvero fortissime. Il risultato fu che in troppi, inconsapevolmente, acquistarono titoli e prodotti che poi si rivelarono diversi per rendimento e esposizione del rischio, in alcuni casi dando origine a veri e propri drammi. Contemporaneamente, tra i bancari e le bancarie, si registrò un aumento consistente dei casi di “infortunio” da stress da lavoro correlato.
Nel 2017, era l’8 febbraio, fu siglato un accordo tra organizzazioni sindacali e Abi sulle politiche industriali e contro le pressioni commerciali indebite. Un accordo di grande importanza, tant’è vero che il sindacato europeo l’ha fatto proprio traducendolo nelle diverse lingue e diffondendolo. Non solo, nel 2019 quell’accordo è entrato a far parte del rinnovo contrattuale del settore del credito divenendo ancor più vincolante.
Sono passati quattro anni e il problema sembra riproporsi. “Ci siamo resi conto che le pressioni commerciali non sono finite - dice Susy Esposito della segreteria nazionale della Fisac - anzi pur nel contesto pandemico stanno di nuovo aumentando. È, quindi, necessario riaccendere i riflettori su questa materia per fare in modo che si torni nel solco dell’accordo del febbraio del 2017”.
Che la vicenda non riguardi solo il nostro Paese lo testimonia il fatto che il 7 maggio del 2020 in Europa è stata firmata una Dichiarazione congiunta tra Uni Europa Finance (la rappresentanza continentale dei lavoratori e delle lavoratrici del settore) e dal Comitato bancario per gli affari sociali europeo, l’European Savings and Retail Banking Group e l’Associazione Europea delle banche cooperative. Obiettivo: limitare le pratiche di pressioni commerciali sugli addetti agli sportelli e avviare un percorso di “finanza sostenibile”, che fa bene non solo ai dipendenti e alla clientela ma agli stessi istituti.
Riflette Susy Esposito: “Le pressioni commerciali sono figlie di un modello di sviluppo. Nelle banche oggi in gran parte la redditività dipende proprio dalle commissioni derivanti dalla vendita dei prodotti finanziari, che anche se non tossici possono essere almeno inadeguati. Troppo spesso questo si traduce in pressioni indebite sui dipendenti, che si traducono in richieste di programmazione ad horas degli appuntamenti con la clientela, graduatorie comparative e previsionali di vendita molto spesso quotidiani, con il rischio di non intercettare i reali bisogni della clientela".
Ma un’altra finanza, non solo è possibile ma è indispensabile. Non solo per lavoratrici, lavoratori e i clienti, ma per il Paese. Per rinascere dalla pandemia servono politiche industriali ma anche politiche finanziarie che sostengono la buona economia. La Fisac, forte dell’accordo del 2017 e del rinnovo contrattuale del 2019, ha lanciato una campagna per diffondere un prontuario per le lavoratrici e i lavoratori che ricapitola cosa l'azienda può chiedere loro e cosa no. Non si può chiedere di vendere contro gli interessi dei clienti, forzando o aggirando le procedure della banca, usando strumenti autogestiti aggiuntivi. Se succede, c’è sempre un sindacalista o una sindacalista Fisac pronto a sostenere il rifiuto del lavoratore e della lavoratrice ad assecondare le richieste indebite.