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Un appello per la cancellazione dei debiti pubblici dei singoli Stati in mano alla Banca centrale europea per favorire la ripartenza a fronte della crisi dovuta alla pandemia da Covid. È quello che hanno lanciato oltre cento economisti europei, anche in seguito all’analoga – e tanto discussa – proposta avanzata dal presidente del Parlamento Ue, David Sassoli. La lista dei firmatari vede la presenza anche di un gruppo di economisti italiani, tra i quali Riccardo Realfonzo, docente presso l’Università del Sannio, al quale abbiamo chiesto di illustrare i contenuti e gli scopi del documento.
“La proposta di cancellazione del debito pubblico posseduto dalla Bce – ci spiega – punta a rafforzare la condizione delle finanze degli Stati europei e ad aprire maggiori spazi per politiche di ricostruzione ambientale e sociale. Un anno fa, dopo lo scoppio della pandemia, proprio Mario Draghi sul Financial Times riconosceva la necessità di lasciare crescere il debito pubblico dei Paesi, per contenere la crisi. Tutti i Paesi hanno varato politiche di contrasto alla crisi sanitaria ed economica, e oggi la condizione delle finanze pubbliche si è aggravata. Basti pensare che il debito pubblico italiano a fine 2020 sfiora il 160% del Pil. La Banca centrale europea possiede un quarto del debito pubblico europeo e la cancellazione di questo debito è un’operazione possibile, è un po’ come la cancellazione del debito della mano destra verso la mano sinistra. Si tratterebbe di una misura non sufficiente ma che certamente aiuterebbe molto la crescita, anche considerato che, contrariamente a quanto molti pensano, le risorse del Recovery fund europeo sono assolutamente insufficienti”.
A livello internazionale, anche extra europeo, quali sono le implicazioni della cancellazione del debito?
“La cancellazione del debito pubblico in mano alla Bce non contravviene a nessun trattato europeo, dal momento che non vi è un finanziamento diretto della spesa pubblica. Al contrario, il protocollo numero 4 accluso al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea esplicita che la Bce può stampare moneta accrescendo il suo capitale, in caso di perdite sopraggiunte. Né vi sono controindicazioni di alcun tipo sul piano internazionale, perché si tratta di una vicenda che concerne il rapporto tra gli Stati d’Europa e la loro Banca centrale. D’altronde, in altri Paesi, come ad esempio gli Stati uniti, la banca centrale è molto più propensa a sostenere le politiche fiscali, anche mediante il finanziamento diretto della spesa”.
Cosa rispondente alle critiche fatte all’appello, come anche a suo tempo alla proposta lanciata da David Sassoli?
“Le critiche della presidente della Bce, Christine Lagarde, al nostro appello hanno una natura prettamente politica e non tecnica. Certo, il fatto che la presidente abbia risposto alle pressioni che giungevano in questa direzione è un segno concreto che l’appello ha riscosso una grande attenzione mediatica e politica. Sarà necessario insistere. Sia chiaro, io so bene che la risposta delle istituzioni europee alla crisi del Covid-19 è stata ben diversa da quella adottata per la crisi finanziaria del 2008, che fu tutta all’insegna dell’austerità. Ma il punto è che le politiche varate dalla Commissione europea e dalla Bce a oggi sono del tutto inadeguate per riportare i Paesi europei ai livelli di crescita e di occupazione precedenti alla crisi, ed evitare un ulteriore approfondimento delle differenze territoriali nei ritmi di sviluppo degli stessi Paesi”.