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La crisi economica provocata dalla pandemia del Covid-19, come già quella del 2008 scaturita dalla bolla dei mutui subprime, ha mostrato le debolezze strutturali del modello di crescita capitalista che è diventato egemone a partire dagli anni 70. Per decenni si è spacciata l’idea che la prosperità economica passasse necessariamente per la liberazione incontrollata delle forze di mercato. Lo Stato è stato dipinto come un orpello, un ostacolo alla crescita con le sue inefficienze e burocrazia. In questo milieu culturale, nutrito incessantemente da molti economisti, il ruolo dello Stato è divenuto necessariamente minimo: il settore pubblico può intervenire solo in presenza di fallimenti di mercato.
Ovviamente, la spesa pubblica deve essere razionalizzata e tagliata, anche in settori chiavi come la sanità e l’educazione; la pubblica amministrazione va ridotta, senza investire nelle competenze dei servitori pubblici; ogni forma di politica industriale deve essere abbandonata e le imprese a controllo pubblico privatizzate, perché il mercato sa meglio dove incanalare gli investimenti e l’innovazione che alimentano la crescita della produttività. Purtroppo, queste politiche non ci hanno permesso di vivere nel migliore dei mondi possibili e l’attuale crisi ha investito l’economia italiana già stremata da decenni di crescita stagnate della produttività e dei redditi.
Che cosa si può quindi fare? Innanzitutto, va affrontata l’emergenza sanitaria con gli strumenti dell’economia di guerra, dato che il mercato non può compiere la magia. Un esempio storico da seguire è la grande mobilitazione predisposta da Roosevelt durante la Seconda Guerra Mondiale che portò a risultati produttivi straordinari. Sono necessari interventi pubblici “intrusivi” per far ripartire l’economia tutelando la salute dei lavoratori, come la prioritarizzazione degli ordini pubblici rispetto a quelli privati, la riconversione della produzione di imprese e industrie, nazionalizzazioni temporanee e selettive, controlli dei prezzi, etc. Inoltre, l’emergenza sociale va mitigata con aiuti diretti alle famiglie e alle imprese. Per la prima oltre a facilitare l’accesso alla Cassa Integrazione va introdotto un Reddito d’Emergenza che possa essere erogato velocemente. Per le imprese, gli aiuti diretti devono essere condizionati non solo al blocco dei licenziamenti e alla distribuzione dei dividendi e alla sede fiscale in Italia, ma anche fissando limiti alle emissioni di gas serra, per guidare lo sviluppo del Paese dei prossimi anni.
E qui arriviamo al punto fondamentale dell’articolo di Archibugi, Pennacchi e Reviglio (APR): non possiamo limitarci a superare la tempesta, ma dobbiamo sfruttare le opportunità offerte dalla crisi per rilanciare la crescita della produttività ed uno sviluppo inclusivo e sostenibile dell’economia. Altrimenti, il nostro Paese rischia di diventare una zattera della medusa solo un po’ più confortevole. Condivido quindi la proposta di APR di dotare le nostre istituzioni pubbliche di capacità progettuale: ci vuole un portafoglio prêt-à-porter di progetti d’investimento, realizzato da una task force di esperti, che possano essere realizzati molto velocemente. Questo richiederà anche un investimento nella pubblica amministrazione, abbandonando il feticcio dello Stato minimo, sviluppando e la valorizzando le competenze del personale e assumendo giovani istruiti e motivati. I progetti devono però essere organizzati per missioni, perseguendo la resilienza dell’economia italiana rispetto alle emergenze del Covid-19 e a quella climatica.
Le politiche mission-oriented necessarie ad affrontare le due emergenze richiederanno non solo investimenti, ma un disegno generale di politica industriale che porti ad un cambiamento strutturale della nostra economia attraverso l’innovazione, la creazione di nuove imprese e settori, e, ovviamente, occupazione. Un esempio ci viene dal governo statunitense che ha creato l’industria farmaceutica degli antibiotici quasi in tempio reale durante la Seconda Guerra Mondiale. Affrontare l’emergenza pandemica e climatica richiederà forti sinergie con il settore privato del nostro Paese ed il coinvolgimento delle imprese pubbliche. Inoltre, la nuova stagione di politica industriale per missioni dovrà affrontare la questione meridionale valorizzando le imprese esistenti (ad esempio l’Ilva con un centro ricerche sull’idrogeno) e creando nuove eccellenze come il Cira. Solo così l’Italia potrà ritornare su un sentiero di sviluppo sostenibile e resiliente.
Andrea Roventini è professore alla Scuola Superiore Sant'Anna.