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In Italia il caporalato viene solitamente rappresentato come una questione interna, un ferita grave ma che affligge soprattutto le regioni del Meridione. In realtà si tratta di un tema che colpisce tutto il territorio nazionale, come ha chiaramente dimostrato il V Rapporto Agromafie e caporalato dell'Osservatorio Rizzotto della Flai Cgil. Ma non solo. Perché un recente report, “E(U)xploitation. Il caporalato: una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia”, dell'associazione Terra! certifica che il fenomeno ha una portata ancora più ampia, e coinvolge l'Europa intera, con particolare attenzione agli stati mediterranei.
Le cause del caporalato, infatti, secondo il rapporto, risiedono nella “fragilità delle economie dell’Europa meridionale, unita all’atomizzazione del settore agricolo”. E quindi non riguardano solo l'Italia. Il dossier racconta dunque la dimensione continentale dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, mettendo in evidenza “i vuoti normativi, lo squilibrio nel potere di mercato e la debolezza dei controlli nelle filiere”. E(U)xploitation raccoglie inchieste sul campo svolte in tre paesi chiave per l’agricoltura comunitaria: Italia, Spagna e Grecia. A conferma della dimensione continentale del problema, le pesanti condizioni che la grande distribuzione organizzata impone ai fornitori sono oggetto di una direttiva approvata dal Parlamento e dal Consiglio europeo (2019/633, la cosiddetta direttiva “pratiche sleali”), con l'obiettivo di delineare un quadro di riferimento comune a 27 legislazioni diverse. Entro il mese di maggio, gli Stati membri sono chiamati a recepirla.
In ogni caso, in tutte e tre le nazioni analizzate, la presenza di stranieri impiegati nel settore agricolo è molto elevata. I rapporti istituzionali riportano numeri al ribasso, spesso parziali, in cui si celano “vaste sacche di irregolarità, che rivelano un settore in fase di riorganizzazione”, in cui le condizioni lavorative “sono strettamente legate alle politiche migratorie nazionali e sovranazionali”.
L'Italia del grigio
Piana del Sele, Agro Pontino e Foggiano, sono i campi d’indagine che hanno rintracciato le “principali criticità nella forte disgregazione tra gli addetti del settore agricolo italiano, nella scarsità di politiche di filiera e nella mancanza di organizzazione del lavoro. A minare lo sviluppo del comparto, ci sono sopratutto casi di distorsione del lavoro regolare e dei contratti”, che “costringono i lavoratori a condizioni di vita indecorose”. Il lavoro a cottimo è particolarmente presente nell’Agro Pontino, “dove i pagamenti sono erogati in base ai mazzetti di ortaggi raccolti, che seguendo tabelle del tutto informali, vengono poi convertiti in giornate lavorate”. Il fenomeno dei “falsi braccianti” e delle “imprese intermediatrici fittizie” è invece presente perlopiù nel Foggiano. Ma è il lavoro grigio la piaga più presente al Sud: “Si basa su un tacito, e spesso obbligato, accordo tra il lavoratore e l'imprenditore agricolo: l'imprenditore si assicura un lavoro continuativo tutto l'anno, ma non registra mai più di 180 giornate, oltre le quali sarebbe obbligato a contrattualizzarlo. Per le giornate che eccedono, sarà retribuito in modo informale”.
Grecia senza controllo
In Grecia l’indagine ha inizio a Manolada, la regione famosa per la coltura di fragole. Nel Paese, il 90 per cento della manodopera del settore agricolo è composto da migranti, la maggior parte dei quali lavora in modo informale, “viene pagata in nero e non è assicurata”. La debolezza endemica dei controlli permette al sistema agricolo greco di vivere di “una filiera composta da moltissime piccole e medie imprese (il 98 per cento del totale) che operano su una superficie media di 6,8 ettari”. Aziende “esposte alle pressioni di pochi e forti soggetti della commercializzazione e della distribuzione”. Così, inevitabilmente, le pressioni della filiera sugli agricoltori “generano sforzi volti alla riduzione dei costi di produzione, col lavoro che diventa “sempre il bersaglio primario”. Nei casi in cui i piccoli produttori si trovino in difficoltà, possono infatti facilmente ricorrere al lavoro informale. Quelli più grandi, invece, uniscono lavoro formale e lavoro non dichiarato, sullo stile del lavoro grigio documentato in Italia.
Spagna, l'agricoltura interinale
In Spagna, il rapporto indaga invece il sistema di impiego dei braccianti in agricoltura ad opera delle società di servizi e delle agenzie di lavoro interinale (Ett). Uno dei campi d’indagine è Murcia, che con i suoi quasi 470.000 ettari di terreni agricoli, è anche nota come la “huerta de Europa”, l'orto d'Europa. Attualmente i contratti tramite le agenzie interinali rappresentano oltre il 55 per cento del totale dei nuovi contratti in tutti i settori nella regione. “Il comparto che più pesa in questa percentuale – si legge - è quello agricolo: dei 490 mila contratti firmati nel 2019 nel settore, 366.000 sono stati fatti tramite Ett (agenzie interinali), quasi il 75 per cento”. Il reclutamento spagnolo è diventato un modello europeo: la cosiddetta contratación en origen, il reclutamento diretto di lavoratori in paesi terzi, “nasconde tante zone grigie, a cominciare dalla forte discriminazione di genere nei confronti delle lavoratrici marocchine, sottoposte a sfruttamento e violenze fisiche”. Il tutto si innesta su un sistema agricolo affetto da quella che l’organizzazione di produttori Coag ha definito “uberizzazione”, cioè dalla “concentrazione del potere e ricchezza in oligopoli, a cui corrisponde sempre più “un’agricoltura senza agricoltori”. Poche grandi imprese infatti - appena il 6,5 per cento dei proprietari di aziende agricole contro il 94,5 per cento di persone fisiche - catalizza il 42 per cento del valore della produzione”.