Thierno Diallo ha ventott’anni. Viene dal 1992. Viene dal Senegal. La prima parola italiana che ha imparato è “basta”. A lungo si è convinto che fosse una parolaccia. Nel centro di accoglienza gliela rivolgeva un uomo che distribuiva cibo. Quando l’uomo si fermava, e diceva “basta”, Thierno, insieme agli altri ragazzi chiusi nel centro, pensava di avere appena ascoltato un vocabolo terribile. Poi tra di loro ridevano: “Basta deve essere proprio una brutta parola”.
Col tempo Thierno è arrivato in Puglia, in Capitanata, dove oggi lavora nei campi. È diventato un sindacalista, anche, delegato della Flai Cgil. E ha iniziato a usare nuove parole. I compagni di lavoro nella raccolta per lui sono “amici”. Spesso durante la giornata qualcuno di loro si ferma, lo stesso Thierno si ferma e dice: “Stanchezza, sonno”, e dice che non ce la fa più. Tutti loro a turno lo dicono. E ci scherzano sopra, e si prendono in giro.
Stanchezza, sonno. Thierno è stanco perché abita nel ghetto abusivo di Borgo Mezzanone, vicino al centro di accoglienza per richiedenti asilo, al confine tra Foggia e Manfredonia. È un luogo gremito di corpi che a volte si scontrano in risse, o prendono fuoco in incendi fortuiti, o ricevono colpi di coltello. Quegli stessi corpi fanno fatica a pulirsi, a restare sani, a rispettare l’igiene e la distanza. Anche per loro è il tempo del Coronavirus, ma sembra che nel ghetto sia in vigore un tempo diverso.