Ci sono temi che non possono essere lasciati alla propaganda della destra. Uno di questi è l’arresto in Francia di Pavel Durov, CEO della piattaforma Telegram e cittadino franco/russo. Inutile dire che le modalità con cui i magistrati francesi hanno agito, compreso il fermo di 96 ore, senza che fossero chiare le ragioni della detenzione, ci lasciano parecchi dubbi.

Durov, come altri proprietari di grandi piattaforme social, è una figura controversa. Lo abbiamo detto molte volte come Cgil, è preoccupante la concentrazione di potere nelle mani di soggetti privati che attraverso le piattaforme social raccolgono e gestiscono dati sensibili di miliardi di persone.

Per questa ragione abbiamo sempre chiesto regole certe, trasparenza, strumenti per rendere i cittadini consapevoli dei rischi e delle potenzialità dei social.

Per questo abbiamo espresso la necessità che lo Stato, gli Stati si rendessero tecnologicamente indipendenti da colossi privati guardando all’interesse generale e il bene pubblico. Sempre con l’idea che queste tecnologie hanno enormi potenzialità se dirette al bene comune, ma grandi rischi se utilizzati nell’interesse di pochi o al di fuori di o processi democratici maturi.

Abbiamo espresso poi, a seguito della promulgazione del Regolamento Europeo sull’intelligenza artificiale, alcuni dubbi sulla vaghezza con cui si identificano limiti nell’uso dei dati sensibili dei cittadini da parte di forze di polizia e sicurezza nazionale. La norma infatti declina delle fattispecie che lasciano margini interpretativi troppo estesi ai singoli Stati che compongono l’UE.

Se a questo aggiungiamo una serie di norme che tendono, anche in Italia, a limitare la libertà di espressione o di manifestazione attraverso un inasprimento delle pene per i trasgressori, o alcune forzature sull’esercizio del diritto di sciopero, il quadro diviene ancora più fosco.

I limiti posti a Tik Tok, l’azione di contrasto per l’espansione tecnologica di Huawei, le ultime dichiarazioni di Zuckerberg su atti di censura richiesti dalla politica Usa su Facebook (era già evidente anche senza questa tardiva rivelazione) o lo scontro tra UE e Musk, disegnano una mappa della “trasformazione” che non somiglia alla necessaria tutela generale di “tutti i cittadini del mondo” (o miliardi di utenti in tutto il mondo), ma piuttosto alla geografia dello scontro politico in corso.

Infine, va detto che quanto contestato dai giudici francesi bypassa anche quanto stabilito dal Dsa: la direttiva europea non stabilisce la responsabilità della piattaforma rispetto ai contenuti caricati dagli utenti, nel caso in cui non sia a conoscenza dei contenuti stessi.

Ha osservato Anna Cataleta - Senior Partner Partners4Innovation “Uno dei capi d’imputazione consiste nel rifiuto di comunicare, su richiesta delle autorità competenti, le informazioni o i documenti necessari per la realizzazione e l’utilizzo di intercettazioni autorizzate dalla legge. La parte più peculiare delle contestazioni è quella dei mancati adempimenti dovuti in Francia, in base alla normativa locale (qui in Italia queste norme non sussistono), per l’uso di crittografia senza aver fatto le necessarie notifiche e dichiarazioni all’Ainssi, l’agenzia francese nazionale per la sicurezza, la quale esamina e approva le richieste di utilizzo di tali mezzi per il proprio territorio, a pena anche di conseguenze penali in certi casi”.

Voglio ricordare, per rendere più chiaro il quadro di contesto, che proprio la Francia (insieme all’Italia) aveva insistito molto, in fase di definizione del Regolamento UE sull’Ia, per non non porre troppi limiti alle autorità di polizia per l’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale finalizzati alla sorveglianza, impostazione che effettivamente nella stesura definitiva fu in gran parte accolta.

Il mondo è diviso materialmente e immaterialmente in due enormi blocchi, ognuno dei quali racconta di essere nel giusto ed avere a cuore le condizioni delle persone ed il futuro del pianeta, peccato che le persone, o gli utenti in questo caso, appaiano più come il campo di manovra per raggiungere l’egemonia.

Forse non ce ne rendiamo conto, ma l’arresto di Durov cambia il quadro. È uno di quegli atti (dice Macron “non politico, ma della magistratura”) che cambiano le regole d’ingaggio.

Musk il giorno dopo l’arresto ha tuonato, “il prossimo sarò io”. Chiaro che non accadrà mai, sennò sarebbe già accaduto, ma è noto che il proprietario di X sia troppo ben collocato nel campo amico, anche dal punto di vista militare, per subire un arresto.

Non serve entrare nel merito di chi sia Durov (non è un santo), né dei limiti che quella piattaforma, Telegram, ha rispetto alla gestione dei dati delle persone che la utilizzano. La questione è che dopo anni di assenza di regole, al grido di “viva il libero mercato” e l’impresa privata senza lacci e lacciuoli, ci si è resi conto che i social svolgono una funzione determinante anche per gli equilibri geopolitici.

La situazione per Paesi europei è assolutamente fuori controllo, quindi da una parte ci si appoggia al modello Usa (altrettanto fuori controllo) e, dall’altra, si prova a ruggire con chi non è allineato.

Il risultato è che quello che ci siamo detti sulla coerenza regolatoria e normativa dell’Europa, culla della “civiltà digitale” e attenta ai diritti dei cittadini, morirebbe se fosse vero quanto denunciato da Musk sulla proposta d’accordo dell’UE. "La Commissione ha offerto a X un accordo segreto illegale: se avessimo censurato in silenzio, senza dire nulla a nessuno, loro non ci avrebbero multato. Altre piattaforme hanno accettato, X no".

Tutto questo sta avvenendo maldestramente, senza chiarire le finalità, senza la dovuta trasparenza. Lo si sta facendo senza “dire” che mai i Paesi occidentali utilizzeranno quei dati di milioni di cittadini per sorvegliare e reprimere il dissenso.

I 27 Paesi dell’UE hanno culture giuridiche diverse, quadri normativi diversi e le ultime direttive e regolamenti hanno concesso di mantenere queste diversità e anche questo aumenta la confusione e la mancanza di trasparenza.

Il rischio è che la competizione sulle regole sia al ribasso, cioè che i Paesi UE guardino a Est ed Ovest, a modelli autoritari, per trovare una equilibrio e recuperare potere.

Il diritto alla riservatezza è un tassello essenziale nella tutela dei cittadini in un mondo in cui i dati sono una merce che viene raccolta con troppa facilità.

Una volta rimanevamo stupiti dei dossier che venivano ritrovati in qualche cassetto, ora questi dossier potenzialmente possono essere ovunque ed essere merce di scambio e strumento di coercizione e potere nei confronti di uno o di molti.

“C’è in gioco non solo il libero sviluppo della personalità degli individui, ma anche la necessità di preservare spazi dove le persone possano confrontarsi tra loro, in libertà, per discutere di politica, per organizzarsi per difendere i propri diritti”, ha commentato Juan Carlos De Martin, Docente di ingegneria informatica al Politecnico di Torino.

Se a rompere un equilibrio è la Francia, il Paese di Mitterand che proteggeva i dissidenti politici di tutto il mondo, forse siamo già andati troppo oltre.

Alessio De Luca, Responsabile Ufficio progetto lavoro 4.0 Cgil