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Un senso di ostilità verso le azioni di disobbedienza civile, come quelle messe in atto da parte degli attivisti della giustizia climatica, e un chiaro tentativo di criminalizzarle. È questo il portato del disegno di legge di iniziativa governativa in materia di sanzioni per la distruzione e il deturpamento di beni culturali e paesaggistici, licenziato dal Senato e adesso approdato alla Camera, il cosiddetto ddl Eco-vandali. Si tratta di un provvedimento che per come è stato pensato ed elaborato, intende punire condotte che sono già perseguite dal codice penale, aggravando ulteriormente le multe.
Preoccupazioni e perplessità sono state sollevate da Amnesty International Italia, secondo cui nel testo proposto ci sono molte criticità in relazione alle garanzie di libertà di assemblea e protesta assicurate dalla legge italiana e tutelate da strumenti internazionali.
Pesanti sanzioni amministrative
“In pratica, si aggiungono pesanti sanzioni amministrative a figure già previste dall’ordinamento, che si traducono in un forte deterrente alle contestazioni e al dissenso – spiega Mariapaola Boselli, dell’ufficio campagne di Amnesty -, e non solo degli attivisti per la giustizia climatica. Pensato per arginare le loro azioni, se diventerà legge il provvedimento andrà a colpire qualsiasi protesta. In questo modo si ledono diritti giuridicamente tutelati. La protesta, infatti, rientra nel diritto a manifestare sancito dai nostri padri costituenti. Ma se si introducono forti sanzioni, si va a intaccare il diritto di assemblea e si disincentivano gli atti di disobbedienza civile di qualsiasi tipo”.
Da 20 mila a 60 mila euro in alcuni casi, da 10 mila a 40 mila euro in altri, non solo se si distrugge, si disperde o si deteriora un bene culturale o paesaggistico, ma anche se lo si rende non fruibile o lo si usa in modo incompatibile con il suo carattere storico o artistico. Quindi anche srotolare uno striscione di protesta sulla facciata di un edificio storico o salire su un monumento per attirare l’attenzione e fare un’azione dimostrativa potrebbero rientrare in queste ipotesi.
Reclusione e multe nel codice penale
La fattispecie a cui si fa riferimento, per entrare nel dettaglio della norma, è già prevista dal nostro ordinamento, per l’esattezza all’articolo 518-duodecies del codice penale “Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici”, che prevede reclusione e multe.
“Ma nella proposta di legge si tratta anche del semplice imbrattamento – precisa Andrea Ronchi, avvocato e componente della consulta giuridica Cgil -: se si lancia un pugno di fango o si usano coloranti naturali che si disperdono con l’acqua, si rischiano sanzioni fino a 60 mila euro; se salgo su un monumento ed espongo un cartellone la sanzione potrebbe arrivare fino a 20 mila euro. Sono cifre sproporzionate, che colpiscono pesantemente la libertà di manifestare del cittadino. Ma anche le sanzioni minime, che partono da 10 mila euro, sono di ostacolo anche alle mere azioni dimostrative o a quelle simboliche a effetto. Ogni compressione al diritto di manifestare liberamente è sempre molto grave”.
Metodi emergenziali
Possiamo essere d’accordo o meno con i metodi usati nelle loro manifestazioni dagli eco attivisti, condividere o meno le loro iniziative, ma non possiamo condividere un legislatore che tratta queste azioni con metodi e misure di sapore emergenziale: mettere mano in questo modo a norme penali è sempre improvvido.
“Sono pene gigantesche che vanno a colpire direttamente l’attività politica - aggiunge Ronchi -. Il governo vuole imporre un certo tipo di manifestazione in modo assolutamente antidemocratico: alla lunga l’unica modalità di manifestazione che sarà gradita al governo e quindi non sanzionata sarà la manifestazione silenziosa, senza colori, cartelli, fumogeni, che non disturbi la produzione, come per gli scioperi. La precettazione dei ferrovieri della scorsa settimana e questi progetti normativi mi sembrano frutti avvelenati della stessa logica politica”.
Il dissenso è democrazia
Secondo il legale, uno Stato, un governo, un potere costituito se è veramente democratico non deve ostacolare le manifestazioni di dissenso e protesta ma deve favorire la dialettica e la contrapposizione all’interno della società.
“Perché di questo si nutre la democrazia, con un unico limite – dice Ronchi -: l’ordine pubblico costituzionale. Se scendo in piazza mettendolo in pericolo la collettività è giusto che lo Stato intervenga anche con la sanzione penale, ma se vieti o sanzioni in modo abnorme questo tipo di manifestazioni pacifiche e colorate, e se impedisci sempre e comunque l’uso di un bene pubblico artistico per rafforzare le ragioni della mia protesta, restringi e rendi inefficace il mio diritto a manifestare, privando la democrazia della sua principale ragione d’essere: la partecipazione alla cosa pubblica dei cittadini dissenzienti con le politiche del governo”.
Campagna globale
Amnesty sta lavorando a livello globale sul diritto di protesta con una campagna che coinvolge molte sezioni, perché a seguito della pandemia in tanti Paesi si è sviluppata una tendenza a mettere limiti stringenti alle manifestazioni e perché si registra un uso eccessivo della forza.
“Ma le azioni di disobbedienza civile e di dissenso hanno cambiato il mondo, sono il cuore dei processi storici di cambiamento – conclude Boselli -. Poiché lo spirito di questa norma sembra essere proprio quello di limitare le libertà, come il decreto anti-rave varato dal governo Meloni appena insediato, e tenta di criminalizzare l’attivismo, chiediamo alla Camera di fare un passo indietro e di non approvarlo”.