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Tempi sempre più duri per chi deve trovare una casa, in affitto o in vendita, e ha uno stipendio medio. Peggio ancora se, come in molti casi, il salario è al di sotto della media. Questo è frutto della speculazione edilizia e per questo il Social forum dell’abitare prosegue nel suo impegno con una nuova tappa a Milano, dopo quella di Genova lo scorso novembre. Tra i tanti partecipanti, Alessandro Coppola, docente di urbanistica al Politecnico di Milano, che si occupa di politica e politiche urbane, cambiamento dei quartieri, ricostruzioni post-disastro e fenomeni di crisi e contrazione urbana. A lui chiediamo l’analisi di origini e possibili soluzioni di un grave problema che interessa milioni di italiani, ma che continua a essere sottovalutato dalle istituzioni in primis.
“Si fa un errore se si discute di questione abitativa e di politica abitativa come se fossero degli oggetti laterali o delle politiche settoriali. Dobbiamo essere consapevoli che le modalità nelle quali si producono alloggi e si rendono disponibili sono una dimensione essenziale proprio del modello di sviluppo di una città – afferma –, di come la città deve svilupparsi, di come va redistribuita la ricchezza generata dalle trasformazioni urbane".
Profitti privati senza compensazioni per la città
Coppola cita subito il tanto discusso disegno di legge ‘salva a Milano’ all’esame del Senato, al quale il Consiglio comunale del capoluogo lombardo ha votato il sostegno proprio nella giornata del Social forum, il 10 febbraio: “Un dispositivo di legge a livello nazionale che in realtà salverà ben poco Milano, perché, se va bene, salverà solo qualche cantiere e qualche promotore, ma non risarcirà la città delle decine di milioni di euro di ricchezza che avrebbe dovuto essere socializzata nel quadro di politiche urbanistiche non edilizie più accorte gestite dal Comune di Milano. È peggio di un condono.
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Il tema fondamentale è che il valore prodotto da queste trasformazioni è stato quasi per nulla trattenuto dalle dall’istituzione pubblica. Si deve invece prelevare ricchezza per intervenire anche sulle politiche abitative, ad esempio, chiedendo ai promotori, in cambio della possibilità loro concessa di investire, una quota di alloggi che siano fuori dal mercato.
Perché, banalmente, oggi le condizioni medie di mercato in alcune grandi aree metropolitane d'Europa sono strutturalmente disallineate rispetto al livello di reddito e di ricchezza della popolazione. Sul Corriere della Sera un promotore ha detto di avere pagato il 5% del valore di investimento che ha realizzato, quindi il 3% se calcoliamo del valore di realizzo: una quota ridicola”.
Milano l’esagerata
Coppola ci spiega che il capoluogo lombardo in questi anni ha praticato una politica di dumping anche nei confronti delle altre città italiane: “C’è una gran parte di retorica nel discorso sull'attrattività di Milano, che è largamente dovuta a condizioni senza paragoni in Europa. Investire capitali immobiliari nella Milano in trasformazione era forse probabilmente più redditizio che a Roma, e sicuramente anche rispetto a Parigi o a Barcellona. Quindi è necessario discutere di questo modello, della sua desiderabilità, scegliere politicamente se questo è il modello del futuro e, a livello locale, porsi la questione di dire se è un problema o meno in un contesto nel quale il comune non ha risorse per fare cose elementari”.
Il disegno di legge ‘salva Milano’ che il governo ha messo a punto proprio per sanare quanto sopra descritto torna nelle parole dell’urbanista milanese, il quale precisa che il provvedimento – si diceva – è peggio di un condono, perché è un dispositivo “che non prevede una transazione con lo Stato, al quale il privato dovrebbe riconoscere dei costi perché ha costruito in modo illegittimo”.
Non i costruttori, ma gli abitanti artefici del valore della città
“In Italia queste queste oblazioni – osserva Coppola – sono sempre state molto populisticamente ridotte, ma almeno c'era l'idea di uno scambio. Adesso la linea della classe politica non parla di condono perché sostiene che era tutto legittimo. Chi costruisce, però, paga oneri di urbanizzazione che sono inferiori a quanto paga di tasse una partita Iva. C'è qualcosa che non va bene. Il Comune non deve guadagnare come se fosse un privato, naturalmente, ma deve generare risorse per fare investimenti, denaro pubblico da restituire in servizi, in edilizia pubblica, eccetera”.
Senza dimenticare che la parte decisiva del valore di un alloggio venduto nella città di Milano non è merito del proprietario, ma è merito dei cittadini che la rendono un posto rilevante ogni giorno: “Per questo – conclude Coppola – la collettività deve catturare una parte di quella ricchezza, mentre al singolo promotore, al quale è giusto riconoscere un margine di guadagno; non è possibile affidare un monopolio privato sulla generazione del valore delle città. Questo non è accettabile, è antieconomico ed è espressione di un modello veramente vetusto di capitalismo, finanche di un certo pre-capitalismo che in Italia è molto popolare”.