La sanità nelle Marche è su un piano inclinato. “Scivoliamo verso il privato”, denuncia la segretaria regionale della Cgil, Loredana Longhin. Una realtà evidente a leggere i dati principali pubblicati alla vigilia di un convegno ad Ancona che ha preceduto il G7 sul tema ospitato in città. La spesa per cittadino relativa alla sanità pubblica nelle Marche, dati Istat relativi al 2021, era sotto la media italiana.

Passata l’emergenza pandemica, il dato che emerge prepotentemente è quello della rinuncia alle prestazioni sanitarie: nel 2023, il 9,7% della popolazione marchigiana ha dichiarato di aver rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno. La quota è in crescita sia rispetto all’anno precedente che al 2019.

L’alternativa alla rinuncia, in una buona parte dei casi, è la migrazione. L’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, riscontra che la spesa effettuata dalla Regione Marche per i propri residenti che vanno a curarsi in strutture sanitarie di altre regioni è più alta rispetto ai ricavi per le cure offerte dalle proprie strutture ai residenti di altre regioni. Nel 2022, per i ricoveri, il saldo è di circa –27 milioni di euro (peggioramento del 34% rispetto al 2019) mentre per le prestazioni ambulatoriali (prestazioni di diagnostica, terapeutiche e di laboratorio) il valore si attesta a –13,9 milioni di euro.

I dati sulla mobilità trovano parziale riscontro anche in un indicatore come quello dei tempi di attesa, costantemente monitorato dalla stessa Agenas. Nel dettaglio, osservando il rispetto dei tempi di attesa per interventi di classe A in area oncologica, emerge che nel 2022 nelle strutture marchigiane solo il 62,7% dei pazienti ha effettuato l’intervento entro 30 giorni dalla prenotazione, contro il 73,8% a livello nazionale. La differenza tra strutture pubbliche e private accreditate è significativa: nelle prime il rispetto del tempo viene garantito al 61,1% dei pazienti, mentre in quelle private accreditate la percentuale di pazienti che effettua l’intervento entro 30 giorni dalla prenotazione si attesta all’89,4%. Tutti indicatori che invitano a porsi interrogativi sulla reale universalità del diritto alla salute.