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Il giovane studente di filosofia siciliano non poteva credere ai propri occhi nel ricevere la comunicazione dell’azienda per la quale da anni consegnava ogni tipo di alimento, percorrendo Palermo in lungo e in largo a bordo del suo motorino. Social Food, una start up italiana del food delivery, lo licenziava per contestualmente imporgli di accettare, come condizione per continuare a lavorare, un nuovo contratto con il quale vedeva sfumare i diritti che tanto faticosamente stava conquistando con le mobilitazioni che lo vedevano impegnato in prima linea con il Nidil Cgil, che lo aveva anche nominato proprio rappresentante dei rider di quell’azienda.
Sempre impegnato assieme ai suoi colleghi per rivendicare condizioni eque e dignitose, non poteva accettare la disciplina del contratto collettivo, sottoscritto da un’organizzazione nella quale non si riconosceva, che gli veniva ora imposto come condizione per poter lavorare. Il contratto Ugl Rider era un colpo di spugna per tutti quei diritti per i quali stava lottando assieme al suo sindacato. Anche se quel lavoro gli serviva, il rider decideva da subito di non accettare le nuove condizioni e di affrontare le conseguenze dell’inevitabile perdita del lavoro.
Nidil Cgil, Filcams Cgil e Filt Cgil hanno sostenuto la coraggiosa scelta del rider che, per coerenza con la sua militanza, ha avuto la caparbia determinazione di portare in Tribunale l’azienda piuttosto che rinunciare al suo impegno per un lavoro dignitoso. Presentato un ricorso per discriminazione sindacale ai sensi del d.lgs 216/03, il Tribunale di Palermo riconosceva che il rider aveva il diritto di opporsi all’imposizione del contratto, non dovendo accettare il contratto per continuare a lavoratore e che, pertanto, la perdita del lavoro costituiva una misura illegittima. Social Food ha impugnato la sentenza contestando che il rider avesse il diritto di opporsi alla decisione aziendale, e men che meno di contestare la clausola del suo contratto di lavoro che consentiva all’azienda di risolvere in qualsiasi momento il rapporto di lavoro.
La negazione del diritto al dissenso nella nuova economia digitale – che emerge prepotente anche in questa causa - è una costante delle imprese della gig economy che costantemente si arrogano la facoltà di modificare e imporre le condizioni di lavoro, negando ogni valore alla volontà del lavoratore in una logica esasperata del “prendere o lasciare”. L’assenza di fisicità dello spazio virtuale, la spersonalizzazione dei rapporti, il diffuso convincimento che considera la piattaforma una sorta di mondo parallelo potenzialmente libero da vincoli o regole che possono condizionarne l’azione, è probabilmente l’origine di un malinteso senso di libertà negoziale al quale è estranea ogni regola e nel quale si ritiene che sia sufficiente un click per disconnettere un lavoratore sgradito o non più necessario.
Luca Biewald, amministratore delegato di CrowdFlower, una delle principali piattaforme di crowdworker, non ha esitato a dichiarare pubblicamente: “Prima di internet sarebbe stato difficile trovare qualcuno, farlo sedere per dieci minuti e farlo lavorare per te, e licenziarlo dopo quei dieci minuti. Ma con la tecnologia puoi trovarlo, pagarlo quel minimo che gli devi e poi disfarti di lui quando non ti serve più”.
Queste parole, che descrivono in modo efficace un mondo surreale nel quale nessuno vorrebbe vivere, tuttavia rappresentano la realtà di quella ampia schiera di lavoratori precari che gravitano attorno all’economia immateriale e priva di regole della gig economy. Eppure fortunatamente oggi anche il mondo virtuale deve fare i conti con le norme che impongono di rispettare quei diritti sociali fondamentali che hanno consentito al giovane rider filosofo di vincere la sua battaglia contro la piattaforma che lo aveva disconnesso.
È di pochi giorni fa la notizia che anche la Corte di Appello di Palermo ha riconosciuto che “Social Food spa ha effettivamente compiuto un atto di discriminazione indiretta, nella misura in cui ha prospettato ai lavoratori, ove non acconsentissero alla sottoscrizione del nuovo contratto, quale unica alternativa, l’immediata risoluzione (anticipata, rispetto alla sua naturale scadenza) del contratto in corso di esecuzione”.
Assieme al provvedimento di Bologna, che ha accertato la natura antisindacale di un analogo comportamento attuato da un’altra azienda del settore, la decisione della Corte di Appello di Palermo costituisce una punto fermo che consente di affermare che i rider hanno il diritto di opporsi alle modifiche delle loro condizioni di lavoro e che la clausola di recesso apposta ai loro contratti non può essere abusivamente utilizzata per modificare le loro condizioni di lavoro.