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La possibile causa intentata dal New York Times a OpenAI per la violazione del copyright da parte di ChatGPT ha riportato all’attenzione le contraddizioni dell’utilizzo di meccanismi di intelligenza artificiale. Tra queste quello meno esplorato è l’impatto energetico e l’impronta ambientale che l’utilizzo di queste tecnologie comporta.
Quali sono gli elementi da considerare per valutare questi parametri? Di certo l’energia utilizzata per far funzionare il sistema, strettamente connessa alla potenza dell’hardware e poi la quantità di energia utilizzata per “educare” l’algoritmo e quella per alimentare i data center.
Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa (AI), quella che è alla base di chatbot come ChatGPT, ossia strumenti in grado di produrre testi o, nelle versioni più evolute, persino opere d’arte, video o musica originali a partire da un testo, necessita di una grande potenza di calcolo. Bisogna tenere conto che la cosiddetta IA generativa utilizza delle architetture che sono basate su reti neurali (modelli matematici composti da neuroni artificiali che si comportano come il cervello umano), dunque prevede milioni di parametri che devono essere addestrati.
Ed è proprio nella fase di addestramento che il consumo di energia è massimo. All’algoritmo devono essere forniti milioni di esempi perché possa imparare e l’utilizzo di grandi numeri di Gpu (unità di elaborazione grafica) richiede un consumo energetico rilevante.Tutto questo rende l’impatto energetico molto forte.
Del resto è noto che l’industria ITC, già negli anni scorsi, ha generato emissioni di carbonio pari a quelle del sistema di aviazione. E tutti sappiamo che l’utilizzo di acqua per raffreddare i data center (secondo uno studio di Nature Google ha utilizzato 15,8 miliardi di litri nel 2021e Microsoft ha dichiarato l’utilizzo di 3,6 miliardi di litri) così come la necessità di metalli rari per costruire i componenti di hardware rendono le nuove tecnologie ad alto impatto ambientale.
Secondo alcune ricerche pare che i data center cinesi siano alimentati per il 73% da elettricità generata dal carbone, il che rende evidente che anche la fonte energetica ha un peso sostanziale sull’impronta ecologica complessiva della tecnologia digitale. L’università del Colorado Riverside e dell'università del Texas di Arlington hanno poi calcolato che l’addestramento di ChatGPT-3 ha consumato 700.000 litri di acqua dolce solo per il raffreddamento del data center. Per avere una idea almeno approssimativa dell’impatto che ciascuno di noi può comportare utilizzando nuove tecnologie è bene sapere che, da quanto si calcola, scambiando solo 20 messaggi con ChatGPT, si consuma mezzo litro di acqua.
Se pensiamo che l’intelligenza artificiale è diventata gradualmente più integrata nelle nostre attività (pensiamo ad Alexa o Siri o alla navigazione con Google Maps, alla domotica e all’internet delle cose) e sempre più lo sarà e che un sempre maggior numero di aziende utilizza sistemi di intelligenza artificiale, poter misurare l’impatto ambientale di questi meccanismi diventa fondamentale.
Nessuno mette in discussione i vantaggi che le applicazioni di IA possono portare. Sappiamo ad esempio che l’applicazione di meccanismi di IA nel settore petrolifero e del gas è utile per monitorare e migliorare la sicurezza ma anche per aumentare le prestazioni operative e per fornire modelli predittivi. Di sicuro l’uso dell’IA potrebbe migliorare significativamente la gestione delle catene di approvvigionamento.
La trasformazione della rete elettrica in smart grid, distribuite uniformemente a tutti i livelli della filiera elettrica, con i sistemi di IA che permettono di ottimizzare anche i consumi finali degli utenti addestrando la rete e permettendole di interagire con il sistema di produzione in un continuo interscambio di dati, sarà un passo avanti determinante per ottimizzare produzione, distribuzione e consumo di energia
Allo stesso modo la gestione con meccanismi di IA degli impianti di distribuzione dell’acqua per ridurre le perdite e prevenire le rotture è elemento di grande importanza anche dal punto di vista ambientale.
Ma la tecnologia è di per sè stessa fonte di contraddizioni per cui il rischio che si corre è che l’uso dell’IA, come abbiamo detto, sia di sicuro estremamente positivo ma che non si valuti correttamente il fabbisogno energetico di queste tecnologie e la loro impronta ecologica.
Ad oggi non esistono studi completi ed esaustivi sull’impatto ambientale e il consumo energetico dell’IA, in larga parte per la scarsa trasparenza delle aziende nell’indicare i processi e la complessità dei modelli utilizzati, in modo da poter effettuare una valutazione corretta.
Secondo uno studio di Sasha Luccioni (https://arstechnica.com/gadgets/2023/04/generative-ai-is-cool-but-lets-not-forget-its-human-and-environmental-costs/) la complessità di un LLM (un algoritmo deep learning in grado di riconoscere contenuti, di generarli, tradurli e anche prevederli) è determinata dai parametri, cioè dalle connessioni che gli consentono di imparare.
Più sono i parametri maggiore è l’efficacia. Ma quanti sono i parametri utilizzati, ad esempio, per ChatGPT ultima versione? La non trasparenza dei dati impedisce una corretta valutazione. Dunque, mentre in Europa si legifera con l’IA Act, regolamentando l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, sarebbe parimenti opportuno, anche ai fini della contrattazione dei nuovi modelli produttivi, che se ne valutasse la sostenibilità ambientale imponendo trasparenza a produttori e utilizzatori, in modo da consentire scelte ragionate e applicazioni che, pur efficientando filiere e consumi, non comportino un saldo finale negativo.
Cinzia Maiolini è segretaria nazionale Filctem Cgil