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Online il nuovo numero del Notiziario dell'Inca Cgil dal titolo “Per il lavoro ci metto la firma” (leggilo QUI). All’interno troverete una serie di riflessioni per approfondire i temi sviluppati dai quesiti referendari proposti dalla Cgil, impegnata dall’inizio del maggio scorso in uno sforzo straordinario di raccolta delle adesioni che ha già raggiunto oltre 600mila sottoscrizioni e superato quindi il requisito minimo richiesto dalla legge.
Tra le firme personalità del sindacato, ma anche esterne al mondo della Cgil. Oltre alla premessa del presidente dell’Inca Cgil, Michele Pagliaro, che vi anticipiamo qui di seguito, troverete i contributi di Lorenzo Fassina, Luciano Canfora, Luciano Cerasa, Luciana Castellina e Sandro Ruotolo.
La premessa del presidente dell’Inca, Michele Pagliaro
Superata l’ultima prova delle elezioni del Parlamento europeo, che purtroppo confermano la quasi totale sfiducia degli italiani verso le istituzioni, con oltre il 50 per cento dei non votanti (unici veri vincitori), entra nel vivo la campagna referendaria promossa dalla Cgil per chiedere l’abrogazione di quelle misure che hanno reso il lavoro precario ed esposto all’insidia ancor più pericolosa rappresentata dalla povertà pressoché generalizzata nella quale è coinvolto anche chi addirittura può vantare un lavoro.
I dati statistici, diffusi dall’Istat, sull’aumento degli occupati con un contratto a tempo indeterminato di circa 500 mila posti di lavoro possono confortare chi non vuole vedere dietro questa cifra il vero volto del mercato del lavoro, composto per lo più di persone povere, che vivono di salari poveri, con una capacità di spesa ridotta oramai all’osso da un’inflazione percepita in modo superiore alla realtà; senza considerare neppure la condizione dei giovani, grandi assenti nelle politiche attive, per i quali la via di fuga dal nostro Paese è diventata l’unica strada per garantirsi un futuro migliore.
Una precarietà diffusa che investe anche il diritto alla salute, sempre più chimera per chi non ha i mezzi per curarsi e rinuncia alle terapie, anche quando sono salvavita; anche a chi si ammala a causa del lavoro. Le malattie professionali crescono, mentre il Governo Meloni taglia i fondi del Servizio sanitario nazionale, lasciando ciascuno al proprio destino. Come gli esecutivi precedenti, nulla fa o ha fatto per cambiare le disposizioni contenute nel Jobs Act, che dal 2015, quando sono entrate in vigore, hanno accelerato lo sviluppo del working poor proseguendo verso la liberalizzazione dei licenziamenti indiscriminati.
Usando strumentalmente i presunti successi occupazionali e sfruttando i numeri statistici per piegarli ai propri interessi, il governo di destra tira dritto verso quelle riforme che, se portate a compimento, aggraveranno il declino culturale, economico e sociale del nostro Paese, aumentando le disuguaglianze. Nel nome del sovranismo, difende l’autonomia differenziata che, se approvata, lacererà il Paese creando zone ricche e zone povere; difende la riforma della giustizia (o meglio la controriforma) che, con la separazione delle carriere dei magistrati, metterà in discussione l’autonomia della magistratura subordinandola alla politica; infine il premierato con il quale il governo di destra vuole illudere le cittadine e i cittadini di potersi scegliere liberamente i propri rappresentanti istituzionali erodendo le prerogative del Parlamento e del Presidente della Repubblica, riducendoli a luoghi inconsistenti, al servizio del Presidente del Consiglio di turno, a cui si finisce di riconoscere il “potere unico”.
Tre controriforme che disegnano una prospettiva pericolosa antidemocratica, che avranno conseguenze gravi in tutti gli ambiti del nostro vivere civile: dal diritto allo studio alla salute, al lavoro; diritti che i nostri Padri costituenti hanno scolpito in modo indelebile nella Carta costituzionale. Non possiamo permetterlo e non dobbiamo permetterlo. Per questo è importante sostenere la battaglia referendaria della Cgil, che vuole restituire al lavoro dignità, stabilità, sicurezza e tutele adeguate, a lungo tradite.