L’Inca, il patronato della Cgil, nel 2023 ha assistito oltre 3 milioni di persone in Italia e all’estero nell’esercizio dei loro diritti. Persone che spesso non sapevano neanche di averli quei diritti. E che grazie all’Istituto nazionale confederale di assistenza hanno potuto ottenere ciò che gli spettava. Di fronte a questi numeri sapere che soltanto in un caso ogni quattro – il 25% del totale – questo lavoro di assistenza ha ottenuto un rimborso dallo Stato, descrive bene la situazione in cui versano i patronati e l’urgenza con la quale aspettano la riforma di cui tanto si è parlato negli anni e di cui ancor di più si è parlato negli ultimi mesi.
Eppure l’Inca cambia la vita delle persone
Per sgombrare il campo da equivoci è importante sottolineare che il sistema dei patronati e, in particolare, l’Inca Cgil, primo patronato in Italia per il numero delle pratiche svolte e delle persone assistite, sono assoluti protagonisti nel campo della tutela individuale. Nonostante questo, la legge che ne regola prerogative e funzionamento – la numero 152/2001 – risale ormai a oltre vent’anni fa, in un mondo che da allora è radicalmente cambiato. E fu varata allo scopo di riaffermare la valenza di questi istituti, dopo una richiesta di referendum abrogativo degli stessi.
Ogni anno l’Inca Cgil cambia la vita di milioni di persone. Basterebbe chiederlo a 28 lavoratori di Rimini che in questi giorni, rivolgendosi agli uffici del patronato della Cgil, hanno ottenuto il riconoscimento di varie malattie professionali e si sono visti erogare risarcimenti per un totale di oltre 110mila euro. Basterebbe chiederlo a una mamma di origine straniera residente a Trento che, rivolgendosi all’Inca Cgil, ha ottenuto l’assegno unico contro il parere dell’Inps che glielo negava perché il suo permesso di soggiorno era in attesa di occupazione. Basterebbe chiederlo a un pensionato di Fidenza che, grazie all’Inca, dove si era recato per avere informazioni su tutt’altro, ha scoperto di avere diritto alla pensione di vecchiaia e si è visto corrispondere un arretrato di 32mila euro. Basterebbe chiederlo a un lavoratore di Pisa, dirigente nel settore della grande distribuzione organizzata, che, grazie all’assistenza legale del patronato della Cgil, ha ottenuto, con una sentenza storica, il riconoscimento dello stress lavoro correlato.
Gli esempi potrebbero non finire mai. Solo per limitarci al 2023, sono oltre tre milioni. Se i muri degli uffici del patronato potessero parlare, ne avrebbero di storie come queste da raccontare. Di sorrisi e sospiri di sollievo di semplici cittadini, spesso i più fragili e soli, pensionati, donne, migranti, lavoratrici e lavoratori vittime di infortuni, che hanno risolto i loro problemi, o almeno uno di essi, chiedendo aiuto ai sindacalisti della tutela individuale.
Perché la riforma
Ed è per questo che l’Inca chiede da tempo una riforma dei patronati che premi l’impegno e la professionalità dei suoi operatori. “La legge n. 152/2001 – ci ha detto il presidente dell’Inca, Michele Pagliaro – è un provvedimento legislativo che mostra i suoi anni e che non riesce più a rispecchiare la complessità dei bisogni sociali, profondamente cambiati, in ragione sia della composizione demografica della popolazione sia dei numerosi interventi che, nel corso di questo ultimo ventennio, hanno cambiato il profilo del welfare state italiano e più in generale del sistema di sicurezza sociale. Il paniere delle prestazioni cui fa riferimento il Ministero del Lavoro per espletare la sua funzione di vigilanza e controllo e di conseguenza di distribuzione delle risorse finanziarie raccolte nel Fondo Patronati, mostra un quadro limitativo: si pensi, a titolo di esempio, come sono cambiate le pensioni, sottoposte a continui e infiniti rimaneggiamenti; come sono cambiate le misure contro la disoccupazione, le tutele sugli infortuni e le malattie professionali, sulla genitorialità e sulle politiche attive per il lavoro. Altrettanto è avvenuto sul fenomeno migratorio”. Per non parlare del dramma della pandemia che ha mostrato tutta la fragilità del sistema e, soltanto grazie all’impegno e al senso di responsabilità del patronato e dei suoi operatori, ha trovato ancora una volta l’Inca Cgil presidio di prossimità e punto di riferimento delle persone, persino a distanza, mettendo in campo soluzioni che garantissero assistenza ma anche sicurezza a lavoratori e utenti.
Le proposte dell’Inca per la riforma
L’Inca ha da tempo iniziato una interlocuzione con la politica al fine di presentare le sue esigenze e partecipare alla scrittura di una riforma che deve mettere i patronati nelle migliori condizioni per aiutare i cittadini a esercitare i propri diritti. Tra le proposte più importanti che ha presentato il patronato della Cgil c’è quella di aggiornare l’elenco delle prestazioni rimborsate, valorizzare la qualità e la professionalità del servizio ed erogare in tempi certi e rapidi il finanziamento dell’attività.
“Siamo e saremo sempre vicini alle persone. Il nostro obiettivo, anche nell’ora più buia della pandemia, è stato, è e sarà sempre, aiutare le persone a ottenere i propri diritti, anche quelli che non sanno neanche di avere. È tempo che la riforma dei patronati riconosca il nostro impegno e renda ancor più efficace la nostra azione”
Michele Pagliaro, presidente Inca Cgil
"Oggi – ci ha detto Michele Pagliaro – bisogna coniugare la legge 152 del 2001 in una chiave moderna, partendo dal valore della qualità, partendo dal tema della semplificazione e quindi intervenire disciplinando il mandato telematico che è diventato ormai strutturale, intervenendo sulla qualificazione dei prodotti con una riqualificazione del paniere. E poi bisogna anche che ci sia una semplificazione dei controlli rispetto al processo di digitalizzazione e questo potrebbe snellire tutta l’attività ispettiva che è fondamentale in quanto la nostra è un’attività vigilata dal ministero. Ultimo punto, avere certezza delle risorse: le risorse non bastano mai, però renderle certe e renderle esigibili nei tempi stabiliti dalla legge sarebbe un grandissimo passo avanti”.
“Noi ci poniamo come interlocutori capaci di sviluppare una attività complessa e dare voce ai diritti inespressi, vista la complessità del welfare attuale che cambia rapidamente e in alcuni casi diventa una corsa a ostacoli, un gioco dell’oca che penalizza i soggetti più fragili”.