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Satnam Singh è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La tragedia del giovane migrante indiano, abbandonato moribondo davanti a casa, dopo un terribile incidente sul lavoro ha colpito il Paese intero. L’atroce dinamica del suo infortunio – un braccio staccato da una macchina agricola – è stata ripresa anche dalle agenzie di stampa internazionali e ha gettato un ulteriore fascio di luce, se ce ne era bisogno, sulla endemica insicurezza sul lavoro in Italia.
Per giunta le indagini sulla morte di Satnam hanno rivelato la patologica quotidianità del lavoro nei campi e nelle serre di un brutto Paese che sfrutta cinicamente il bisogno di lavorare di chi è arrivato nella penisola con mezzi di fortuna ed è costretto da una legge orribile come la Bossi-Fini ad accettare qualsiasi impiego, senza diritti né tutele, pur di sbarcare il lunario.
Anche per questo a Latina sono arrivati lavoratrici e lavoratori da tutta Italia. Comunità migranti che sentono sulle loro spalle il peso di una situazione insostenibile, spesso e volentieri condannate dalla burocrazia italiana a fare salti mortali per ottenere quel pezzo di carta che segna il confine fra i sommersi e i salvati. In piazza ora urlano la loro rabbia, il loro dolore per la perdita di un fratello, le loro sacrosante rivendicazioni di una vita regolare per poter lavorare con più sicurezza e più dignità. Anche la politica, o almeno parte di essa, è qui a Latina insieme a loro.
“Questi campi, queste strade, questi borghi e contrade li presidieremo ogni giorno e per le prossime settimane saremo in tantissimi, perché non si può lavorare in queste condizioni”, promette Silvia Guaraldi, segretaria nazionale della Flai. Con la campagna di sensibilizzazione ‘Diritti in campo’, il sindacato dell’agroindustria targato Cgil smuove le acque stagnanti e putride di organizzazioni del lavoro che sembrano immutate rispetto a due secoli fa, quando gli uomini bianchi, per accrescere le proprie ricchezze, tenevano in schiavitù altri uomini e altre donne.
Viene in mente la sempreverde canzone di protesta Contessa di Paolo Pietrangeli, cantata a squarcia gola nei cortei degli anni ’60 e ’70, quando una rivoluzione sociale e culturale riuscì, con la lotta collettiva, a cambiare le regole del gioco assicurando più dignità al lavoro. In quel “se l’è cercata, ci ha rovinato tutti”, detto dal ‘datore di lavoro’ di Satnam Singh, che veniva pagato 4 euro l’ora al nero, c’è tutto il senso di impunità che contraddistingue tanti, troppi imprenditori lungo l’intera penisola. Aiutati per giunta da un governo che già dal suo insediamento incensava la logica del fare come stella polare della sua azione politica.
Fare, ma a quali condizioni? Satnam era arrivato a Borgo Santa Maria da Napoli, sbarcato in Italia dopo una traversata del Mediterraneo. Gli investigatori stanno ricostruendo chi fossero i caporali dell’Agro Pontino che avevano trovato per lui e la moglie il lavoro nell’azienda che assumeva irregolari e la casa, a Colleverde.
Ancora Pietrangeli: “Han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti. Volevano avere i salari aumentati. Gridavano, pensi, di esser sfruttati. E quando è arrivata la polizia. Quei pazzi straccioni han gridato più forte. Di sangue han sporcato il cortile e le porte. Chissa quanto tempo ci vorrà per pulire”.
Siamo tutti Satnam oggi mentre dal palco prendono la parola lavoratrici e lavoratori, delegati e dirigenti sindacali, studenti, anche quella parte di politica che, pur tra tante, troppe timidezze si è finalmente convinta che leggi come la Bossi-Fini vanno cancellate e che è il modello produttivo in senso ampio, che va cambiato. Rivoluzionato.
“Satnam è stato ucciso come non avveniva nemmeno nel Medioevo, è stato ammazzato da una legge che lega la vita dei migranti ad un pezzo di carta”, dice Laura Hardeep Kaur, segreteria della Flai di Latina e Frosinone. E sono applausi. “Satnam e Sony non volevano essere un simbolo, sono venuti qui in cerca di una vita dignitosa, volevano che venisse riconosciuto il loro lavoro, i loro diritti di esseri umani”, sottolinea Francesca Re David, segretaria nazionale della Cgil. Fabio Singh è arrivato da Cremona per esprimere lo sdegno e la rabbia di un’intera comunità per una morte tanto atroce quanto ingiusta. “La piaga del caporalato è una ferita ancora aperta, abbiamo lottato e lotteremo ancora perché sia cancellato per sempre”.
Si susseguono gli interventi, piazza della Libertà è ancora piena, non si vuole andare via. Si parla italiano e punjabi, ci si abbraccia, perché nessuno si salva da solo. Qualcuno intona Bella Ciao, si canta in coro, sventolano le rosse bandiere della Flai Cgil insieme a quelle di un buon pezzo di Paese che ha iniziato a camminare lungo la Via Maestra, con in mano una Costituzione che va letta, imparata, applicata. Un documento laico capace di unire popoli e religioni diverse.