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È un numero enorme, inimmaginabile, ma non è solamente un numero sono bambini: 152 milioni in tutto il mondo, più dell’intera popolazione di uno stato come la Russia, ognuno con una storia che nega l’infanzia, che li costringe a lavorare anziché giocare e studiare. Nella 22° Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile, che ricorre ogni 12 giugno, si moltiplicano gli organismi internazionali e le associazioni che ci forniscono il quadro. I dati riportati sono quelli diffusi dall’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro.
Negli ultimi vent’anni la lotta contro il lavoro minorile ha cominciato a dare i suoi frutti, ma il fenomeno ha ancora dimensioni impressionanti, soprattutto se si pensa che la maggior parte degli Stati ha ratificato la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e la Convenzione dell'Ilo. I minori tra i 5 e i 17 anni continuano a lavorare nelle miniere, nei campi, nelle concerie, nel commercio, per le industrie e ora anche nei settori dell’online.
Lo sfruttamento dei minori priva i bambini del loro diritto all’infanzia e alla dignità, che si ripercuote sulla loro salute (molti dei lavori citati sono assai nocivi), sul loro sviluppo psicofisico, sul loro grado di alfabetizzazione e di istruzione. Le cause risiedono principalmente nella povertà, sia essa legata a carestie, crisi climatica, alle guerre e alle conseguenze della pandemia o a governi senza scrupoli che consentono il lavoro minorile per puro guadagno e paura di nuove generazioni istruite che finalmente alzino la testa.
“Il lavoro minorile è un fenomeno insidioso e ancora troppo radicato anche nel nostro Paese, figlio innanzitutto di disagio socio economico, marginalità ed esclusione sociale, le cui dimensioni non possono non far riflettere sulla disattenzione delle Istituzioni e sull’inefficacia delle misure di contrasto messe in campo. Occorre rafforzare il sistema di protezione sociale e intervenire contro la dispersione scolastica, legata a doppio filo al lavoro minorile e che con esso rappresenta la più grande sconfitta delle istituzioni e di tutta la comunità”. È quanto dichiarano le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Maria Grazia Gabrielli.
Per le dirigenti sindacali il lavoro minorile “è un fenomeno che va intercettato, osservato e analizzato con attenzione per come si manifesta e, soprattutto, per quelle che sono le cause che lo generano e lo alimentano, al fine di mettere in campo tutte quelle politiche necessarie al suo contrasto. È fondamentale - sostengono - attivare rapidamente un sistema di monitoraggio efficace, a partire dal tracciamento dei giovani che fuoriescono prematuramente dal sistema scolastico”. Per Barbaresi e Gabrielli “la relazione tra lavoro minorile e dispersione scolastica è un aspetto drammatico perché fa venir meno un diritto fondamentale che la Repubblica, a cui la Costituzione attribuisce il compito di rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo e crescita delle persone, dovrebbe garantire”.
Non si pensi però che il lavoro minorile riguardi solamente i Paesi in grave stato di povertà, perché in Italia i bambini che lavorano sono 336 mila. Secondo le stime dell'ultimo rapporto nazionale diffuso da Save the Children, "Non è un gioco", realizzato in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio, quasi 1 minore su 15 tra i 7 e i 15 anni, il 6,8% della popolazione totale in questa fascia d'età, svolge o ha svolto una attività lavorativa, una proporzione che sale a 1 minore su 5 se si considerano solo i 14-15enni. Circa 58mila adolescenti svolgono lavori particolarmente dannosi, con ripercussioni sui percorsi educativi e la salute, perché magari vanno al lavoro di notte, oppure non frequentano la scuola per lavorare in modo continuativo.
La direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, Raffaella Milano, ha spiegato che "per molti ragazzi e ragazze c'è una relazione stretta tra l'ingresso troppo precoce e prima dell'età consentita nel mondo del lavoro e l'abbandono scolastico. Un ingresso troppo precoce nel mondo del lavoro che può limitare o compromettere le aspirazioni sul futuro e il percorso di formazione e sviluppo professionale verso l'età adulta".
In Italia, infatti, il 12,7% dei giovani 18-24enni ha abbandonato la scuola o la formazione e non ha un diploma o una qualifica, contro una media europea del 9,7%, Tra i 15-29enni, il 19% costituisce i cosiddetti Neet, coloro che sono fuori dal circuito educativo, formativo e del lavoro e in questo siamo secondi solamente alla Romania.
È chiaro che non c'è più tempo da perdere. Da Save the Children viene chiesta un'indagine sistematica sul lavoro minorile in Italia e quindi la messa in opera di misure e investimenti che vadano dal contrasto alla povertà educativa, alla qualità dell'istruzione, a provvedimenti concreti di prevenzione e contrasto sul territorio anche attraverso l'uso dei fondi del Pnrr.
Per dirla con le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, "l futuro dell’umanità è legato alla capacità di proteggere i bambini. La protezione sociale di cui dovrebbero godere, diritto alla salute e all'istruzione, indipendentemente dal luogo in cui si è nati, è ben lungi dall’essere una realtà".