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Il 19 novembre 1969 lo sciopero generale nazionale per la casa - il quarto sciopero generale unitario dal luglio del 1948 dopo le due giornate di lotta per le pensioni del novembre 1968 e del febbraio 1969, lo sciopero contro le zone salariali e la fermata del lavoro di cinque minuti decisa dalle tre Confederazioni all’indomani dell’eccidio di Battipaglia - ottiene un successo enorme.
“Mai visto uno sciopero così - scriveva Rassegna Sindacale - Il 19 novembre, per 24 ore, l’Italia è rimasta paralizzata. Oltre venti milioni di lavoratori hanno aderito all’appello delle tre Confederazioni Cgil, Cisl e Uil per una giornata di lotta per una politica organica della casa e le riforme. Tutto fermo nell’industria, nella agricoltura, nel commercio; servizi pubblici bloccati, negozi chiusi anche nelle strade centrali, cinema spenti, servizi aeroportuali e Rai tv completamenti fermi. Una giornata di lotta indimenticabile, che testimonia la crescita di maturità e di peso del movimento sindacale italiano. È stato un monito al governo, dopo anni in cui i temi della casa, del fisco e della salute erano rimasti terreno di propaganda e di scontento”.
Il contesto storico
Negli anni che vanno dal 1958 al 1963 (la legge 10 febbraio 1961 abroga la legislazione anti-migratoria fascista) si muovono dalle regioni del Mezzogiorno milioni di persone (soprattutto dalla Calabria e dalla Sicilia, ma anche dalla Puglia, dalla Campania e dalla Sardegna). Sono per l’Italia “gli anni del più rapido sviluppo economico”, in cui è relativamente facile trovare un posto di lavoro a Milano, Torino e Genova, vertici del cosiddetto “triangolo industriale”, nella stessa Roma, soprattutto per la natura amministrativa e terziaria della città.
Questa manodopera disperata e a buon mercato giunge sui treni della speranza e trova alloggio nelle borgate. Dal dopoguerra alla fine degli anni ’70 molti romani - non solo gli edili venuti a Roma in successive ondate migratorie per costruire le case nelle quali non possono abitare, ma anche operai delle poche industrie romane e dipendenti delle aziende pubbliche - abitano ancora in grotte, baracche, tuguri disseminati su tutto il territorio.
L'emergenza abitativa
“A Milano - scrive Mattia Gatti - il problema della casa era drammatico. Migliaia di lavoratori giunti dalle campagne e dal Sud attratti dalle grandi fabbriche trovavano affitti inaccessibili o sistemazioni precarie in condizioni di degrado; i ceti popolari erano espulsi dal centro storico in seguito alla prima grande ‘rigenerazione urbana’ fatta di demolizioni e sfratti; migliaia di proletari vivevano ammassati in quartieri dormitorio, costruiti frettolosamente e senza i minimi servizi. I bisogni immediati di queste famiglie si stavano saldando con la nuova consapevolezza politica espressa dai movimenti giovanili e con il rinato protagonismo operaio”.
La protesta
E così il 19 novembre 1969 l’Italia scende in piazza. A Roma, a Milano, a Napoli, a Firenze, a Bologna, e non solo. Nel capoluogo lombardo si tiene la manifestazione principale che purtroppo ha un epilogo tragico. Al termine del comizio tenuto all’interno del Teatro Lirico la polizia interviene per disperdere un corteo e nel buio generato dai gas lacrimogeni rimane ucciso, in circostanze mai chiarite, l’agente di polizia Antonio Annarumma, in forza da pochi mesi al 3° reparto celere di Milano.
La versione ufficiale e attribuisce la morte del giovane poliziotto al colpo ricevuto da una sbarra di ferro scagliata dai dimostranti; quella dei manifestanti indica come causa della morte l’urto della testa del ragazzo contro il parabrezza di una jeep, in seguito allo scontro con un altro mezzo della polizia.
Nemmeno un mese più tardi l’Italia intera vivrà l’incubo di Piazza Fontana. Iniziava il lungo inverno della Repubblica.