PHOTO
Nel 2018 la sentenza n. 120 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), in quanto prevede che "I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali" invece di prevedere che "I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali".
Come si comprende da questo dispositivo, si tratta di una sentenza sostitutiva, che fa venir meno il divieto e pone un principio di disciplina alternativa. Un intervento assai penetrante della giurisdizione costituzionale sulla legislazione. L’interpolazione operata dalla Corte, almeno in parte, si ispira proprio al principio di libertà sindacale separata vigente per la polizia di Stato, che tende ad assumere a modello. L’assimilazione non è però completa, poiché reggono allo scrutinio stretto condotto dal giudice costituzionale altre norme del codice che caratterizzano la libertà associativa tout court dei militari o le competenze degli organismi rappresentativi.
In primo luogo, infatti, resta ferma la disposizione che prevede la necessità di previa autorizzazione del ministro della Difesa per la costituzione delle nuove associazioni professionali a carattere sindacale. In secondo luogo, la Corte afferma che, in attesa di una "indispensabile" nuova "disciplina legislativa specifica", l’azione dei sindacati dei militari risulta assoggettata ai medesimi limiti vigenti per gli organismi rappresentativi, in particolare quelli di cui all’art. art. 1478, comma 7, del d.lgs. n. 66 del 2010, che esclude dalla loro competenza "le materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale".
Ad oggi, la predetta disciplina legislativa non è ancora stata attuata e, nell’attesa, il 21 settembre 2018 è stata emanata una circolare da parte del ministero della Difesa. Inoltre, giova precisare che nulla cambia relativamente al diritto di sciopero che continua ad essere vietato per gli appartenenti alle forze armate. La sentenza rappresenta un vistoso cambio di orientamento della Corte costituzionale, la quale aveva fatto salvo il bilanciamento determinato dal legislatore del 1978 (bilanciamento poi confermato, anche sotto il profilo letterale delle disposizioni in questione, dal codice dell’ordinamento militare del 2010).
Va sottolineato come, in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la diversità di status che corre tra personale civile e personale militare non sia sufficiente a giustificare una differenziazione di trattamento che arrivi a escludere per gli appartenenti alle forze armate il diritto di associarsi in sindacati; esclusione che determinerebbe non una “limitazione” della libertà garantita dall’art. 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma una sua negazione.
Questa riconsiderazione in senso riduttivo della differenza tra personale militare e civile costituisce una novità di grande rilevanza, anche alla luce della diversa storia che ha conosciuto il nostro ordinamento, lungo la quale, come si è visto per la Polizia di Stato (ma, analogamente, si può dire per la Polizia penitenziaria) l’accesso alle libertà sindacali ha coinciso con la smilitarizzazione.
Non è fuori luogo chiedersi se questo “terremoto” possa avere conseguenze anche per il personale di pubblica sicurezza ad ordinamento civile (e dunque se, in qualche misura, quei due percorsi tendano, come si è accennato, a riavvicinarsi); in particolare, se possa verificarsi un’ulteriore attenuazione dei limiti che caratterizzano la c.d. libertà sindacale separata della polizia di Stato verso una più forte assimilazione alla libertà sindacale ordinaria, ovvero oltre il principio di separazione tra sindacati di polizia e confederazioni generali e oltre il divieto di iscrizione dei singoli agenti e funzionari a sindacati diversi da quelli di polizia.
Dunque, la “neutralità” (cioè, per citare la già menzionata sent. n. 449 del 1999, richiamata dalla sent. n. 120 del 2018, quelle esigenze di “coesione interna e neutralità che distinguono le forze armate dalle altre strutture statali”) che è un “principio previsto dagli artt. 97 e 98 Cost. per tutto l’apparato pubblico, e valore vitale per i Corpi deputati alla difesa della Patria”, convive e deve convivere con una politicità nel senso di sensibilità ai valori costituzionali, che, com’è noto, sono valori plurali e non tirannici: si tratterà perciò di una neutralità rispetto alla politica (qui stricto sensu intesa), ma non di una neutralità “democratica”, cioè rispetto ai principi e valori della democrazia. Tra questi principi e valori, quello del libero associazionismo sindacale esprime non soltanto un principio di settore, ma lo stretto collegamento con la democraticità della Repubblica, ed è pertanto limitabile soltanto e nella misura in cui si dimostri che la limitazione sia strettamente indispensabile per garantire l’assolvimento dei compiti propri della struttura statale considerata.
Sembra questo il criterio che deve presiedere sia al progetto di legge in discussione alla Camera dei deputati circa i modi e le forme attraverso cui assicurare l’organizzazione sindacale degli appartenenti alle forze armate, sia alla discussione circa la libertà, da parte delle organizzazioni sindacali della Polizia di Stato, di raccordarsi con l’associazionismo sindacale generale, avendo come criterio di fondo quello di immaginare un modello di agente di polizia (ma analogamente si potrebbe dire dell’appartenente alle forze armate) sempre più consapevole e coscientizzato.
Proprio il richiamo alla coscienza può giocare un ruolo importante nella nostra problematica. Tra la libertà e la disciplina (per individuare icasticamente i due momenti della tensione) sta la responsabilità-coscienza, che impedisce che la seconda venga intesa come “imposta dal di fuori, come limitazione coatta della libertà. L’estensione della libertà di associazione sindacale, consentendo l’adesione a organizzazioni sindacali generali, potrebbe dunque andare nel senso dell’attuazione progressiva dei principi costituzionali.
Renato Balduzzi è professore ordinario di Diritto costituzionale all'Università Cattolica del Sacro Cuore