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Ne novembre del 2003 Lina Fibbi raccontava:
Giovanna Barcellona, Ada Gobetti, Lina Merlin, Rina Picolato e io. Eravamo in cinque, sono l’unica rimasta. Tutti vogliono sapere il giorno della fondazione dei 'Gruppi di difesa della donna e per l’Assistenza ai Combattenti della Libertà', ma io non ricordo se fu proprio il 13 novembre del 1943, non ricordo se nella casa c’era una stufa rossa, ricordo che ci siamo trovate in un appartamento di Milano, ma allora si era costretti a cambiare le case così spesso che è difficile ricordare. Quello che ricordo con certezza è che non ci incontrammo quel giorno per fondare i Gruppi, non sono cose che nascono in un giorno (il 13, il 15?) per decidere la responsabile (Rina Picolato), il nome definitivo, un documento che contenesse lo scopo e gli obiettivi di questa organizzazione. Da quel momento il nostro compito fu quello di estendere l’organizzazione in tutta l’Italia. Bisognava andare in giro, aiutare le donne, verificare i loro compiti, ma soprattutto prendere contatti con le forze cattoliche, liberali e a poco a poco divenne organizzazione in cui erano rappresentate tutte le forze politiche, ma anche di tante donne che volevano fare qualcosa per cacciare i tedeschi e i fascisti. Secondo me i Gdd hanno rappresentato una delle colonne della Resistenza, infatti anche quelle che non vi erano direttamente organizzate, in qualche modo avevano nei Gruppi un referente. Prendiamo le donne della campagna, sono indubbiamente quelle che hanno dato di più: qualche giorno fa sono andata a Siena, ho incontrato una donna che avrà avuto oltre novant’anni; ebbene, durante la Resistenza aveva nascosto nel suo granaio molti soldati. Arrivarono i tedeschi, le chiesero se nascondeva qualcuno e lei negò. Perquisirono, ma non riuscirono a trovare nessuno. Quante donne come questa contadina hanno nascosto, sfamato soldati, renitenti, partigiani.
Quante donne… tante, tantissime
Stando ad alcuni calcoli fatti dall’Anpi, sono state circa 35 mila le partigiane combattenti, 20 mila le patriote con funzioni di supporto, 70 mila le donne appartenenti ai Gruppi di difesa per la conquista dei diritti delle donne, 5mila circa quelle arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, più o meno 3mila le deportate in Germania.
“Il censimento minuto ed esatto della somma dei contributi femminili alla Resistenza - scriveva Arrigo Boldrini - è impossibile proprio per il suo carattere di massa: nel corso di quei due anni vi fu la contadina che compiva chilometri a piedi in mezzo ai blocchi nazifascisti per recare i viveri a un gruppo di partigiani; vi fu la casalinga che preparava indumenti da avviare alle bande in montagna; vi fu l’operaia che nascondeva un pezzo della macchina affidatale in fabbrica affinché i tedeschi non avessero interesse a portarla via o la produzione per loro conto venisse interrotta. Moltissime di quelle donne non chiesero mai riconoscimenti e le cronache e la storia ne ignorano persino il nome. Cosicché la pure elevata cifra di 35mila donne insignite del titolo di partigiane combattenti non rappresenta che il contingente di punta di un grandioso esercito di collaboratrici e sostenitrici della lotta”.
Le azioni di lotta
Atti di sabotaggio, interruzione delle vie di comunicazione, aiuto ai partigiani, occupazione dei depositi alimentari tedeschi, approntamento di squadre di pronto soccorso sono solo alcuni dei compiti portati avanti con coraggio e tenacia dalle donne, cui bisogna aggiungere anche la loro attività di propaganda politica e d'informazione.
Il loro contributo non si limita alle azioni dirette: le donne partecipano ai grandi scioperi del Nord, di più, li organizzano, sostituiscono i loro uomini quando chiedono pane, vestiti, carbone, migliori condizioni che mitighino la durezza del conflitto armato. E muoiono in quelle manifestazioni.
“Sarà la tua partecipazione alla lotta, sempre più attiva, che ti permetterà di conquistare i diritti, non solo economici, ma anche politici i quali ti permetteranno di affiancarti all’uomo per la ricostruzione dell’Italia nella nuova costituente, nella nuova democrazia progressiva”, recitava un volantino diffuso dal Comitato provinciale modenese dei Gruppi di Difesa della Donna il 3 aprile 1945.
Non sbagliava. Chiusa finalmente la triste parentesi fascista, il decreto legislativo luogotenenziale 1 febbraio 1945 n. 23 “concederà” alle maggiorenni di 21 anni il diritto di voto attivo, mentre il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74 concederà alle donne maggiori di 25 anni il diritto di voto passivo.
“Un diritto che venne riconosciuto in extremis nell’ultimo giorno utile per la composizione delle liste elettorali, alla fine del gennaio ’45 - dirà Marisa Cinciari - ma che non fu, come taluno sostiene, una benevola concessione, ma il doveroso riconoscimento del contributo determinante che le donne, con le armi in pugno e soprattutto con una diffusa azione di massa, di sostegno alla Resistenza, avevano dato alla liberazione del Paese”.