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A Bologna i primi vaccini, insieme al personale sanitario, li stanno somministrando anche ai lavoratori degli appalti che ogni giorno vivono la prima linea dell’ambiente ospedaliero. Parliamo di pulizie, sanificazioni, centrali di sterilizzazione. Ma anche di lavanderie industriali, mense, bar. Parliamo di quel lavoro sempre trattato come la serie B, persino dopo che il covid ci ha insegnato che senza non esisterebbe la serie A. E allora tutti in fila per l’antidoto che mette fine all’incubo contagio. Medici, infermieri e addette alle pulizie, rianimatori e banconisti dei bar interni agli ospedali. Per realizzare uno degli slogan sui quali più si è spesa la Cgil in questi anni: stesso lavoro, stessi diritti.
La storia più bella del primo capitolo della saga dei vaccini l’ha scritta la Cgil di Bologna che, con un’azione congiunta di tutte le categorie coinvolte, ha ottenuto l’equiparazione di trattamento tra dipendenti diretti e colleghi in appalto. Per una volta la catena si è accorciata fino a scomparire. Un modo concreto per dirlo ce lo suggerisce Sonia Sovilla, della segreteria della Camera del Lavoro metropolitana, riportandoci alcuni dei commenti dei protagonisti: “Ce la possiamo fare, non è che negli appalti si perde sempre. Non è stato di poco conto sentirsi paragonato a un lavoratore diretto per la prima volta”.
Un risultato tutt’altro che casuale, ci spiega la sindacalista. “Non è che una mattina ti svegli e ottieni un risultato di questa portata. Sono almeno due anni che lavoriamo pancia a terra sugli appalti in sanità. Abbiamo creato un gruppo intercategoriale sperimentale, a regia confederale, che tiene dentro tutti i funzionari delle varie categorie. Che ci ha permesso, nel tempo, di affrontare, tutti insieme, i problemi degli ultimi, di fare contrattazione inclusiva, di fare sindacato di strada e garantire, a chi sta peggio e a chi sta meglio, gli stessi diritti”. Sindacato di strada, la parola magica da sottolineare. Verrebbe quasi da dire, in questo caso, sindacato di corsia. Per rispondere a chi chiede alla Cgil “dove eravate? Cosa avete fatto?” non c’è storia migliore ai tempi del covid. Perché in una situazione di precarietà come quella che si vive nella jungla d’appalto – orari peggiori, stipendi peggiori, prospettive peggiori, guerre tra poveri – ottenere il vaccino prima di tutti è un riconoscimento concreto, senz’altro, ma anche sociale, al loro lavoro e alla loro utilità. Una garanzia per persone che tutti i giorni hanno a che fare da molto vicino con il covid, eppure, senza questo accordo, avrebbero dovuto aspettare chissà quanto, confusi nei turni e nelle priorità del resto della cittadinanza. Molti di loro – pensiamo agli appalti delle pulizie – già da mesi conoscono la lunga, complessa e pericolosa vestizione e svestizione di chi ha contatto diretto con il contagio, uno dei simboli della pandemia. Sacrosanto ma non scontato che oltre a correre gli stessi rischi potessero beneficiare degli stessi diritti.
“Il contesto ci ha aiutati – ci ha detto Sonia Sovilla –. A forza di ripetere ad ogni tavolo da più di due anni la formula anche i lavoratori in appalto abbiamo creato una certa cultura e sensibilità persino nelle controparti. Le quali si sono, oggettivamente, rese conto che la garanzia di un lavoro di qualità dipendeva soprattutto dai diritti riconosciuti ai lavoratori in appalto. Hanno capito che fare il tampone al lavoratore delle pulizie, così come fargli il vaccino il prima possibile, è fondamentale per evitare il propagarsi dei contagi”. Concetti e parole semplici, sembrerebbe. Eppure, ammette, “io non credo che ci siano altre realtà dove tutto il mondo degli appalti rientra nella procedura prioritaria dei vaccini”.
A beneficiarne dell'accordo, sottolinea la sindacalista della Cgil, anche i volontari – non pochi in una realtà storicamente sensibile come quella bolognese – e il filone sociale delle cra, le case residenze per anziani, dove, come purtroppo sappiamo, più duramente ha colpito il virus.
E allora tutti in fila per la somministrazione. Migliaia di lavoratori in appalto aspettano il proprio turno. Per giunta in orario di lavoro, proprio come capita al personale sanitario diretto. Mentre la Cgil, con le assemblee, fa informazione sul vaccino, convince gli scettici, spiega e diffonde la propria posizione. E continua ad aumentare la propria fetta di rappresentanza che, da quando è nato questo gruppo intercategoriale, ha conosciuto veri e propri exploit del tesseramento nei luoghi della sanità coinvolti.