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Il 25 novembre di un anno fa, le piazze si sono riempite di voci e volti uniti da un grido disperato: “Per te, Giulia – e per tutte le altre – bruceremo tutto”. Un grido di rabbia e dolore. Il femminicidio di Giulia Cecchettin aveva smosso la coscienza collettiva, portando in piazza donne e uomini di ogni età. Ma oggi, a distanza di un anno, è lecito chiedersi: cosa è cambiato davvero dal novembre del 2023?
Partiamo dai fatti positivi, seppur esigui: le segnalazioni di violenze sono aumentate. Questo dato suggerisce una maggiore consapevolezza e la volontà, almeno da parte delle vittime, di denunciare. Tuttavia, questa è l’unica luce in un panorama che resta cupo.
Giulia Cecchettin non è stata l’ultima, come avevamo urlato con speranza. Da quel giorno, quasi 100 donne sono state uccise, non da “mostri”, ma da uomini, da “bravi ragazzi”, quelli che la società si ostina a ritrarre come eccezioni, come casi isolati di follia o disperazione.
La domanda successiva riguarda le istituzioni, la politica, il governo: cosa hanno fatto in risposta alla richiesta di cambiamento urlata in piazza? La risposta è amara: nulla.
I proclami sono rimasti tali mentre la realtà ha continuato a presentare il suo tragico conto. Non solo, il ministro dell’Istruzione e del Merito è entrato a gamba tesa dichiarando pubblicamente che la lotta al patriarcato è pura ideologia ricordando a tutti che i numeri parlano chiaro: la violenza contro le donne è colpa degli immigrati. Una sintesi giornalistica di un discorso delirante. Purtroppo però non era un delirio ma una reale convinzione di Valditara e di questo governo, considerando che la premier ha difeso il suo ministro confermando la correlazione tra l’aumento della violenza di genere e l’immigrazione illegale. Dati che evidentemente conoscono solo loro perché i dati Istat parlano chiaro: il 94,3% delle donne italiane è vittima di italiani, il 43,8% delle donne straniere di propri connazionali.
E noi, come giornalisti, quale ruolo abbiamo svolto? Abbiamo provato a cambiare la narrazione, a scardinare quei cliché che giustificano la violenza? Anche qui la risposta è sconfortante. Abbiamo fatto troppo poco. I titoli dei giornali continuano a perpetuare la narrazione tossica: donne uccise da uomini “in preda alla gelosia”, “offuscati dalla disperazione”.
La verità è che il problema è più profondo. Sta tutto nella cultura patriarcale, nella cultura dello stupro. Una cultura che arriva in profondità, dall’infanzia alla vecchiaia, che attraversa ogni aspetto della società, che riguarda tutti senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
È proprio qui che l’articolo 3 della nostra Costituzione trova, paradossalmente, un’applicazione inquietante: il problema è universale. Se gli uomini non prenderanno presto coscienza che la violenza non è solo una deviazione di pochi, ma un problema radicato nei comportamenti, nei linguaggi, nelle azioni quotidiane, il cammino per sradicare questa piaga rimarrà in salita.
I “mostri” esistono, è un concetto che ci conforta perché relega la violenza in un ambito che percepiamo come distante e irreale, qualcosa che non può raggiungerci davvero. Da bambini, i mostri delle fiabe ci aiutavano a elaborare le nostre paure, ma nella vita reale questa distinzione è pericolosa. I veri “cattivi” sono uomini in carne e ossa, partner, ex, compagni di scuola, colleghi di lavoro. Sono coloro con cui condividiamo la quotidianità.
Ma c’è una speranza. Le donne stanno cercando di cambiare le cose, di dare il giusto nome ai fenomeni e denunciare narrazioni sbagliate. Tuttavia, non possono portare da sole il peso di questa battaglia. Contrastare la violenza di genere e chiedere alle istituzioni di intervenire non può essere una lotta esclusiva delle donne. Servono misure ben oltre l’inasprimento delle pene e l’introduzione di strumenti come i braccialetti elettronici.
Serve una rivoluzione culturale, un profondo mutamento che coinvolga tutti. Una vera e propria rivolta culturale, degli uomini questa volta. Si potrebbe iniziare dal non avere paura di chiamare le cose con il loro nome: il patriarcato, la cultura dello stupro, sono i veri mostri contro cui dobbiamo combattere. Le donne hanno già iniziato.