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In molti, in questi tempi di pandemia, di carenza di vaccini anti-covid e di furiose polemiche su brevetti e licenze, hanno rievocato l'ombra ingombrante di Nelson Mandela e del suo Medicines act. Oggi, infatti, non sembrano poi così lontani quegli anni Novanta in cui l’epidemia di Aids uccideva soprattutto chi era povero, senza risparmiare il relativamente agiato Sudafrica. Per farsi un’idea, nel 2000, dopo quattro anni dalla scoperta della cosiddetta tri-terapia contro l'Aids, il numero dei decessi negli Stati Uniti era dimezzato (da 19 a 10mila vittime/anno nel 2000), mentre in Africa, dove viveva il 70% delle persone sieropositive, era quasi raddoppiato (da 1.5 a 2.4 milioni di persone)
Nel 1997, l'allora presidente Nelson Mandela prese di petto il problema, approvando una legge che, per ragioni di salute pubblica e periodi limitati di tempo, permettesse al suo Paese di produrre farmaci generici senza pagare i brevetti, o di importarli dai Paesi che li vendevano a prezzi più bassi. Big Pharma, però, passò subito al contrattacco. Nel 1998, un cartello di 39 multinazionali bloccò l'attuazione del Medecines act, sostenendo che violava i diritti sui brevetti dell'Organizzazione mondiale del commercio. La decisione ebbe effetti disastrosi: nei tre anni successivi, 400mila sudafricani malati di Aids morirono per mancanza di medicine.
Il 5 marzo 2001 il processo contro il Medecines act di Mandela arrivò al tribunale di Pretoria. Le 39 multinazionali cercarono di bloccarlo per sempre, ma il 7 marzo la Corte accolse a sorpresa una richiesta della società civile africana, invitando le aziende a provare perché i loro farmaci avessero prezzi così alti. Le multinazionali chiesero 4 mesi di tempo per raccogliere i dati, il giudice concesse invece solo tre settimane. Il 19 aprile, sotto l'assedio di tutto il mondo civile e dell'Unione europea, le multinazionali ritirarono le accuse.
Fu il primo storico successo contro gli interessi commerciali nel campo della salute. Anche se si trattò di vittoria a metà. Perché il 14 maggio 2001 il ministro della Salute di Pretoria dichiarò al Guardian che il Paese non avrebbe prodotto comunque i farmaci generici anti Hiv e non li avrebbe importati da altri Paesi in via di sviluppo. I farmaci, in sostanza, costavano ancora troppo e il Sudafrica non aveva le strutture per distribuirli. In ogni caso, qualcosa era cambiato. Il G8 di Genova si avvicinava, e i leader dei Paesi industrializzati s'impegnarono a proporre fondi di solidarietà contro l'Aids. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan battezzò così il Fondo globale per la lotta all'Aids, la tubercolosi e la malaria. Annan chiese 8 miliardi di dollari, alla fine ne ottenne 1,7.
Il 13 novembre 2001, la battaglia per l'accesso ai farmaci approdò infine a Doha, sede del summit sul Wto. E incassò un'altra grande vittoria: i Paesi membri dichiararono che “niente, negli accordi del Wto sulla proprietà intellettuale, può impedire ai Paesi membri di prendere misure che garantiscano la salute pubblica”. Quindi anche di produrre farmaci generici ignorando i brevetti che li proteggono o di importarli da Paesi poveri che li vendono a prezzi più bassi di quelli imposti dalle multinazionali farmaceutiche.
Nei 15 anni successivi la situazione andò lentamente migliorando e la mortalità per Aids si ridusse parallelamente al crescere della copertura della terapia antiretrovirale. Ma ancora nel 2016, 37 milioni di persone nel mondo erano affette da Hiv/Aids e di queste oltre il 50% non aveva accesso al trattamento. Dal canto suo, Nelson Mandela continuò la sua battaglia fino a convincere le Nazioni unite a dedicare una sessione speciale dell’Assemblea generale al tema della lotta contro l’Hiv/Aids, che si concluse con una risoluzione che impegnava la comunità internazionale a sostenere i Paesi più colpiti dall’epidemia per rendere più diffusi e accessibili gli interventi di prevenzione e di cura.