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Dall'inizio dell'anno 44 detenuti si sono suicidati nelle carceri italiane e quattro di loro in un solo fine settimana di giugno. Un dato in crescita rispetto allo scorso anno, quando se ne erano registrati 28 nello stesso periodo, e destinato a crescere, ben sapendo che l’estate inasprisce ulteriormente il disagio carcerario e quindi il numero di persone che si tolgono la vita.
“La cosa che colpisce è che quando una persona arriva al suicidio vuole dire che il livello di disperazione è tale e tanto da non avere più neanche quel minimo di speranza di poter vedere una prospettiva e questa è una sconfitta per tutti”, ci dice Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil per le Politiche della sanità e socio-assistenziali.
In cima alle cause del disagio carcerario viene posto il sovraffollamento e i dati dell'amministrazione penitenziaria del Dap registravano a maggio la presenza di 61.500 detenuti a fronte di 51.241 posti regolamentari, con un tasso di sovraffollamento del 120%, anche se in realtà, sottolinea Barbaresi, “i posti disponibili sono ancora meno”.
Inasprire le pene non serve
La segretaria della Cgil ci ricorda poi che la nostra Costituzione “ci dice che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. La domanda che dovremmo porci è quale sia la reale condizione di vita nelle carceri, quali siano le reali possibilità di rieducazione e di recupero sociale in un sistema alle prese con criticità croniche come il sovraffollamento, il degrado delle strutture, condizioni igienico-sanitarie che definire precarie è un eufemismo, con la mancanza di attività trattamentali e di opportunità di lavoro e di formazione. A tutto questo si aggiungono le carenze di risorse e quindi di personale, di spazi vivibili e che ci fanno parlare di condizioni al limite della disumanità e dell'abbandono”.
“Sin dal suo insediamento il governo Meloni ha praticato la strada dell’inasprimento delle pene – prosegue -, con una politica securitaria che è espressione di un populismo penale destinato solo ad aggravare i nodi irrisolti nel sistema penitenziario, oltre ad accrescere i problemi e la disperazione dei detenuti. Le soluzioni ai problemi carcerari non sono a portata di mano, ma serve la volontà politica e quella di questo governo va nella direzione esattamente opposta rispetto a quelle che sono le necessità reali”.
In carcere gli ultimi
Occorre poi interrogarsi anche su chi sono i detenuti, perché troppo spesso non si considera che nelle carceri troviamo persone fragili e in stato di disagio e marginalità. “Spesso si danno risposte di carattere penale a problemi che sono prevalentemente o spesso di carattere sociale – commenta Barbaresi -, perché le carceri sono piene di poveri, di immigrati, di tossicodipendenti, di persone con problemi di salute mentale che dovrebbero trovare altre risposte nelle istituzioni, al di fuori del carcere, in termini di reddito e lavoro dignitoso, di percorsi di inclusione e di presa in carico di carattere sociale. Invece la risposta che trovano è di tipo penale”.
La sindacalista solleva poi un’altra annosa questione: “Un quarto dei detenuti è in attesa di giudizio o della condanna definitiva e anche questo contribuisce al sovraffollamento. Quindici anni fa la Corte europea dei diritti dell'uomo condannò l'Italia per violazione dei diritti umani, ma da allora il livello di sovraffollamento non è cambiato.
Inoltre l'assenza di attività trattamentali, lavorative, dell'istruzione ed educative è dovuta anche alla mancanza di personale. Senza contare poi le cattive condizioni nelle quali si trova a lavorare il personale carcerario stesso, la polizia penitenziaria come gli operatori, che non sono messi in grado di svolgere con serenità il proprio lavoro. Quindi è il sistema complessivo che è in crisi e che non consente in qualche modo il rispetto della dei principi costituzionali”.
Stop al populismo penale
Ad aprile la Cgil ha organizzato un'iniziativa per affrontare i nodi del tema carcerario e ha posto, “oltre alla necessità di garantire un lavoro dignitoso adeguatamente retribuito e percorsi di istruzione e formazione, anche quella di ridurre la presenza nelle carceri a partire dal ricorso a misure alternative alla detenzione, ma anche a indulto e amnistia”. Sull’indulto, però, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha già apposto il suo secco no, perché sostiene rappresenterebbe «una resa dello Stato».
Barbaresi conclude ribadendo che è disumano tenere persone nelle condizioni in cui spesso si trovano i detenuti nelle carceri, perché la pena deve consistere nella privazione della libertà e non nella negazione della dignità personale, che è invece quello che sta accadendo. Noi chiediamo che vengano archiviati immediatamente la politica securitaria e il populismo penale che sta portando avanti questo governo perché quello che serve sono le condizioni che un Paese civile dovrebbe garantire .