Mentre non si dismette la perniciosa abitudine di agire conflitti armati, a suon di dazi e embarghi si confligge a livello globale per il dominio nel campo dell’Intelligenza artificiale (Ia), tecnologia che promette una supremazia, non solo militare ed economica, funzionale all’esercizio del potere. Ma nell’agone tecnologico sono forse ancora più sinistramente ambiziosi gli obiettivi dei contendenti.

Il ruolo degli Stati Uniti

Di sicuro, per molti anni, gli Stati Uniti hanno decisamente prevalso nell’ambito dell’innovazione grazie al connubio vincente di investimenti privati e pubblici. Se solo pensiamo a Google, dobbiamo riconoscere che la sua piattaforma di machine learning, TensorFlow, è una delle più performanti al mondo, mentre già nel 2019 l’amministrazione statunitense lanciò il programma American Ai initiative, cioè un piano di collaborazione tra pubblico e privato per mantenere la leadership globale nell’Ia.

Negli Stati Uniti i privati guidano l’innovazione e il governo federale li sostiene. Ovviamente l’uso per applicazioni militari della nuova tecnologia è prioritario ma non esclusivo, e il governo federale non ha un approccio regolatore neppure lontanamente simile a quello europeo.

La Cina, l’Europa, la Russia

La Cina, che l’amministrazione Trump considera oggi e considerava anche ieri il competitor più insidioso a livello commerciale, non è rimasta a guardare e, già nel 2017 ha lanciato i Next generation artificial intelligence development plan, un programma che, allora, prevedeva investimenti pubblici e privati per oltre 150 miliardi di dollari. Sempre la Cina, grazie al piano Belt and road esporta tecnologia nei Paesi in via di sviluppo.

Inutile ricordare che, in questo scenario che non smette di riservare sorprese, l’Europa si qualifica come pioniera nella regolamentazione, ma in deciso ritardo sullo sviluppo tecnologico.

E la Russia? Profeticamente Putin, già nel 2017, in un incontro con gli studenti disse che l’intelligenza artificiale sarebbe stata il futuro e chiunque fosse stato leader in questo campo sarebbe diventato “il padrone del mondo”. Profetico, ma non in grado di eguagliare la Cina in termini di investimenti e sviluppo, un po’ per le guerre un po’ forse per le sanzioni. In grado però di fruire delle concessioni tecnologiche cinesi. Intanto qualche nuovo Paese inizia ad affacciarsi sul campo di gioco: Germania, India, Israele tra gli altri.

Il mercato dei microchip e delle Gpu

Anzitutto, cosa sono? Sono unità di elaborazione grafica, necessarie per l’addestramento dei modelli di Intelligenza artificiale (Ia), un settore in cui tre aziende statunitensi primeggiano: Nvidia in primis, ma anche Intel e Amd. La sola Nvidia, per dare una dimensione a quest’affermazione, domina il mercato dei processori per Ia (oltre il 70 per cento della quota globale).

Dunque non è un caso che il governo statunitense abbia bloccato l’esportazione verso la Cina di microchip (sotto la presidenza Biden) e la Cina abbia prontamente risposto limitando l’esportazione di metalli pregiati, come il gallio, necessari proprio alla fabbricazione di microchip. Questo mentre Huawei investe massicciamente per tentare di recuperare il gap. E poiché non solo il gallio serve, Trump chiede il conto all’Ucraina in terre rare, il secondo terreno di contesa.

Gli intrecci internazionali

Già, perché il Paese teatro della guerra in corso sul suolo europeo non solo ha riserve di uranio, ma anche di litio (i giacimenti più grandi dell’Europa), titanio, manganese, oltre al ferro e all’ormai obsoleto carbone. Per non parlare del neon, il gas di cui sempre l’Ucraina è produttrice mondiale per quasi il 50 per cento, e che serve proprio per l’utilizzo dei laser che incidono i pattern nei chip. Una delle due aziende produttrice di gas neon è a Odessa e l’altra a Mariupol, non a caso due teatri primari della guerra in corso.

Un risiko apparentemente complesso, dunque, che diviene facilmente leggibile se la chiave utilizzata è proprio lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale e di tutte le componenti, anche in materie prime, necessarie al suo funzionamento

E dov’è la più grande fabbrica mondiale di microchip? A Taiwan, che produce il 60 per cento dei semiconduttori mondiali arrivando fino a punte del 90 per quelli a tecnologia più avanzata. Così forse ora è più chiaro il perché della non troppo silente minaccia militare della Cina continentale rivolta all’isola, e anche perché Tsmc, la fabbrica taiwanese, ha iniziato a produrre anche in Arizona e in Germania.

In Europa un’azienda olandese (Aslm) risulta leader nel settore della litografia per semiconduttori e, neanche a dirlo, le è impedito di esportare in Cina. Dunque, mentre la narrazione prevalente sembra riguardare i dazi sulle auto elettriche, la partita vera si gioca su campi diversi. Ma dove diavolo mettere i trilioni di dati che alimentano l’Ia?

L’altro campo da gioco

Sono i datacenter, l’infrastruttura materiale dell’Intelligenza artificiale e il cloud computing. Anche qui la sfida è in corso e riguarda nuovamente Stati Uniti e Cina. Oggi Amazon, Google e Microsoft sono dominanti nel cloud computing, ma i competitor cinesi non sono fermi. Dunque un panorama in evoluzione in un segmento talmente cruciale che ogni giorno porta una sorpresa.

Mentre Open Ai - dopo aver prima licenziato e poi reintegrato il creatore di chat gpt Sam Altman, ex sodale di Elon Musk - lancia il nuovo sofisticato modello di Intelligenza artificiale (o3) che pare stia dimostrando di poter apprendere ed effettuare generalizzazioni come gli umani, la Cina rilascia due modelli consecutivi di Intelligenza artificiale con un modello opensource.

Un modello scaricabile e utilizzabile gratuitamente, senza requisiti di licenza da parte dell’inventore, che prova così a promuovere l’innovazione grazie all’accesso di un maggior numero possibile di sviluppatori e grazie alla creazione di una sorta di comunità.

Ma quel che fa scalpore è che questi modelli richiedono un uso di chip molto più limitato di quello utilizzato dall’altra parte dell’oceano. Ecco i modelli cinesi: Deepseek V3, rilasciato a fine 2024, capace di integrare testi e immagini, risultava già un modello piuttosto avanzato. Ma all’inizio di quest’anno sempre Deepseek rilascia la versione R1, capace di “ragionare” e competere con il modello o1 di Open Ai sul lato soprattutto dei costi anche di training.

Dunque una sorta di Intelligenza artificiale low cost che preoccupa non poco gli Stati Uniti, dimostrando che la sfida sull’Ia non è più accessibile solo ai grandi monopolisti statunitensi con enorme disponibilità di capitali e ridimensiona la posizione dominante di Nvidia.

E così il titolo di Nvidia flette, mentre la Cina torna prepotentemente in campo e muove le acque al punto che Musk offre 97 miliardi per acquistare Open Ai (ricevendo peraltro un secco “no” dall’ex socio Altman che rilancia offrendosi di acquistare X). Già, perché a Musk Open Ai oggi serve a completare il puzzle delle sue proprietà.

Tutte notizie importanti, e anche uno spiraglio perché l’Europa, che stanzia 200 miliardi di investimenti, possa rientrare in gioco avvalendosi della riduzione di investimenti necessari per lo sviluppo di nuovi modelli di Intelligenza artificiale.

Una questione di potere

Ma il nodo è un altro: davvero si può pensare che lo sviluppo dell’Ia, tecnologia che implica enormi questioni etiche e il cui indirizzo potrà fare la differenza tra progresso per l’umanità o vantaggio per pochi e uso deleterio per l’umanità stessa, possa essere il terreno di scontro tra nazioni? O meglio, tra poteri? È davvero accettabile che un miliardario, l’arcinoto Musk cui si genuflettono governi e governanti anche della democratica Europa, possa appropriarsi dello spazio cosmico?

Se è pur vero che organismi nazionali possono autorizzare l’invio di satelliti nello spazio, il Trattato sulle attività nello spazio extra-atmosferico cui aderiscono anche gli Stati Uniti, siglato nel 1967 (solo due anni prima dell’allunaggio), recita all’articolo 11: “Lo spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione da parte degli Stati, né sotto pretesa di sovranità, né per utilizzazione od occupazione, né per qualsiasi altro mezzo possibile”.

E se dunque non possono appropriarsene gli Stati, può farlo un privato? La competizione sull’Intelligenza artificiale, con quadri regolatori diversi, spesso così labili da consentire controllo e sorveglianza illimitati, è di per sé un problema globale.

Ma consentire a un singolo essere umano di “possedere” lo spazio, avere l’accesso a internet, un canale social come megafono della disinformazione, sistemi di Ia raffinati, Neuralink (azienda che si occupa di sviluppare interfacce neurali impiantabili autorizzata dalla Fda alla sperimentazione sugli umani), è molto più di un problema.

un progetto politico

Non siamo dinanzi a un progetto industriale, ma a un progetto politico. Non si tratta dunque di opporsi a un miliardario bianco di destra, che si ritiene in diritto persino di indicare regole di condotta alla magistratura di un Paese, il nostro, che evidentemente reputa vassallo. Non si tratta di contrastare un uomo che ha acquisito un ruolo primario nel governo degli Stati Uniti, ma di domandarsi fino a quando il progetto politico in via di realizzazione avrà bisogno di un governo democraticamente eletto.

Il sistema democratico avrà ancora senso e ragione di essere in un sistema sempre più marcato di oligarchia tecnocratica, in cui poche aziende hanno fatturati che valgono il Pil di una nazione e pochi individui una concentrazione di poteri resa potenzialmente illimitata dall’effetto moltiplicatore delle nuove implementazioni tecnologiche?

Questo è il campo in cui devono misurarsi popoli e governi che abbiano chiaro il senso della posta in gioco. E questo il motivo per utilizzare tutti gli strumenti democratici a nostra disposizione, a partire dall’esercizio del voto.

Cinzia Maiolini, segreteria nazionale Filctem Cgil