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Il 20 maggio del 1970 la Legge 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana divenendo a tutti gli effetti legge dello Stato.
L’articolo 18 dello Statuto rende effettiva la tutela dei lavoratori contro i licenziamenti illegittimi, prevedendo l’obbligo della reintegrazione nel posto di lavoro superando, per le imprese non piccole, la tutela meramente obbligatoria e risarcitoria prevista dalla L. n. 604/1966.
Un articolo importante, che negli anni si è tentato - più volte - di modificare.
Dalla primavera del 2001 la crisi delle relazioni industriali in Italia è facilitata dall’involuzione politica dovuta alla nuova affermazione del centrodestra di Silvio Berlusconi che nelle settimane precedenti il voto stringe sempre più strettamente l’alleanza con Confindustria all’insegna del neoliberismo e dell’isolamento della Cgil.
L’anno successivo giunge a compimento l’offensiva contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
L'attacco all'articolo 18
Il 6 febbraio del 2002 Sergio Cofferati parla per l’ultima volta da segretario al Congresso nazionale della Cgil lanciando la proposta di una mobilitazione generale contro la riforma dell'articolo 18.
Il 23 marzo successivo la Cgil organizza la più grande manifestazione della storia italiana, con tre milioni di partecipanti al Circo Massimo di Roma “contro il terrorismo (il 19 marzo le Nuove Brigate Rosse hanno assassinato Marco Biagi) e per i diritti”.
È l’inizio di un’intensa mobilitazione, proseguita anche dalla nuova Segreteria di Guglielmo Epifani, subentrato a Cofferati nel settembre 2002, e destinata a concludersi con la sconfitta del governo sull’articolo 18.
Il racconto della mobilitazione
“Era una questione di libertà - scrive l’Unità il giorno successivo - e tre milioni di italiani hanno risposto all’appello della Cgil e di Sergio Cofferati. Sono venuti a Roma da tutta Italia, si sono radunati dentro il Circo Massimo e in tutti gli spazi limitrofi. Era un mare di cittadini che non hanno paura e non intendono arrendersi. Hanno detto no al terrorismo, nella sua versione più losca e misteriosa (l’assassinio di uno di noi, inerme, isolato, senza scorta). Hanno portato famiglie e bambini per far sapere che non consegneranno i diritti conquistati in due generazioni di vita democratica. Una folla immensa e tranquilla si è presa il peso del dolore per la vita spezzata di un uomo innocente. Ha reso assurda l’accusa secondo cui difendere un diritto significa odio. Ha mostrato fisicamente quanto è grande lo spazio occupato dai cittadini che si sentono rappresentati dalla Costituzione antifascista e dalle sue garanzie di eguali diritti, di legalità, di rispetto”.
“È difficile - scriverà Lidia Ravera - anche per i più raffinati strateghi del 'divide et impera', trattar da minoranza inquieta, da manipolo di provocatori, da lobby radical chic o da corporazione di garantiti 3 milioni di persone. Tre milioni di persone sono una città grande, una società media, un mondo piccolo ma completo. Roma li ha accolti con autentico stupore, con l’eccitazione che si riserva ai grandi eventi. Non si era mai vista tanta gente. Esserci dava la sensazione di stare nella storia, di assistere a qualcosa di unico e tuttavia ripetibile, qualcosa che dobbiamo, possiamo, e vogliamo ripetere: una dimostrazione di forza, di compostezza, di disponibilità a partecipare, fisicamente, con il proprio corpo, il proprio tempo, sacrificando giornate di riposo, venendo da lontano, viaggiando la notte, spendendo energie. Una dimostrazione di generosità e di attenzione. «I Care», diceva lo slogan di un passato congresso dei democratici di sinistra. La frase, accusata di esterofilia, mosse al riso. Ieri mattina a Roma, tradotta in migliaia di facce, storie, condizioni ed età diversa, quella frase sembrava aleggiare sopra gli sterminati cortei: I Care, mi riguarda. Mi riguarda la difesa dell’articolo 18 e ancora di più mi riguarda difendere chi difende l’articolo 18 dall’onda di fango che le Brigate assassine (mi dispiace, non intendo più concedere loro l’uso del «rosso») hanno alzato uccidendo Marco Biagi e che Berlusconi e i suoi hanno cercato di tirare addosso agli avversari per sporcarli. Mi riguarda, me ne preoccupo, mi sta a cuore la difesa della democrazia, della libertà e della verità”.
“Nelle strade di Roma - è il commento di Vittorio Foa - è sfilata la nostra speranza per il domani”.
“Eppure qualcosa si muove nel paese - annoterà sul proprio diario Bruno Trentin - Forse una svolta nella ribellione di una società civile contro l’estraneità della politica. Sabato 23 marzo la manifestazione voluta dalla sola Cgil (…) è stata davvero un momento di svolta (…) Un tappo è saltato e questo non potrà non influire sul destino prossimo della sinistra”.